Da Lampedusa a ClaviereAl confine francese, dove arrivano i migranti ma non la retorica allarmista del governo

La val di Susa è la dimostrazione che quando l’obiettivo è comune non c’è divisa o retorica politica che tenga. Il rifugio Massi di Oulx è attraversato da centinaia di migranti, eppure non ci sono striscioni o proteste da parte degli abitanti della valle

Credits: Chiara Comai

Ciabatte, infradito, crocs. A Oulx, in val di Susa, vicino al confine francese, è arrivato il mare. Abiti abbandonati per strada, nei bidoni della spazzatura, sulla banchina del treno. Appartengono alla vita ormai passata di centinaia di migranti approdati a Lampedusa, che in pochissimo tempo si trovano alle porte della Francia, per l’ultima grande traversata. «Queste persone conoscono il deserto e il mare, non hanno familiarità con la montagna né la prestanza fisica», spiega a Linkiesta Piero Gorza, antropologo dell’associazione Onborders. Qualche mese fa nell’ultima valle piemontese prima della Francia arrivavano soprattutto migranti della rotta balcanica, che avevano alle spalle mesi di cammino tra boschi e altitudini. Adesso invece la maggior parte è di origine subsahariana. Sbarcano a Lampedusa, vengono trasportati in autobus fino al centro accoglienza di Torino e da lì prendono il treno per Oulx. Tre giorni, massimo una settimana di viaggio. Per loro, l’Italia è cortissima. Neanche il tempo di togliersi le ciabatte.

Oulx è l’ultimo paese raggiungibile con il treno da Torino. Lì c’è un rifugio, il Fraternità Massi, dove ci si può riposare e ricevere assistenza. Arrivano tra le centocinquanta e le centosettanta persone al giorno e lo stesso numero riparte: un ciclo continuo dalla mattina alla sera, per una capienza che ormai è superata del doppio. «Abbiamo solo ottanta letti, vedessi che calca c’è la sera per accaparrarseli – racconta Don Chiampo, responsabile del rifugio – gli altri dormono sulle sedie o per terra. Ma in confronto a quello che hanno vissuto in Libia, questo è un hotel a cinque stelle». Il Massi è in forte stress. Se resiste ancora è grazie alla rapidità degli arrivi e delle partenze. Se si fermassero qualche ora di più, il rifugio collasserebbe.

Chi arriva riceve vestiti più pesanti e un paio di scarpe da ginnastica, mangia un pasto caldo e dorme una notte. La mattina dopo è già in partenza. Al pomeriggio chi viene preso torna al rifugio, insieme ai nuovi arrivati. Secondo i volontari, il settanta per cento riesce a passare. E i respinti hanno successo entro massimo il terzo tentativo. Una situazione ben diversa da quella di Ventimiglia, altro punto di passaggio verso Parigi, o rispetto alla rotta balcanica, dove a volte non bastano venti tentativi per arrivare in Italia. È difficile però monitorare i respingimenti in maniera precisa dal momento che l’obiettivo di queste persone è lasciar perdere le proprie tracce. 

Credits: Chiara Comai

Anche se riescono a passare più persone di quante non vengano dichiarate dalla politica, la situazione resta drammatica. Il prezzo per arrivare in Francia è altissimo. Mentre eravamo lì è arrivata una famiglia con due bambini, uno di tre e l’altro di cinque anni. Sono stati i primi a rientrare nel pomeriggio, perché si sono incamminati per strada, evitando i boschi, quindi sono stati respinti subito. «Mi chiede se riusciranno a passare? Ce la fanno tutti, prima o poi. Ho visto persone senza una gamba attraversare i boschi», racconta Martina, volontaria al Massi.

Più ci si infila nel bosco, più è facile passare. Ma è un gioco pericoloso anche per chi la montagna la conosce bene. Per questo ogni sera la Croce Rossa di Bussoleno pattuglia i sentieri, fino a mezzanotte. «Ci sono costanti recuperi in montagna, anche complicati, alcune persone vengono trasportate in ospedale – racconta Gorza –. Il numero di arrivi crescerà e le temperature si abbasseranno, quando verrà il freddo è probabile ci saranno vittime». Intanto la gendarmeria francese controlla il confine con i binocoli e i raggi a infrarossi. L’obiettivo è non farsi prendere entro i cinquanta chilometri dall’ingresso in Francia, dopodiché si è salvi. Un nascondino dell’orrore che dura giorni di cammino tra le montagne.

Fino a qualche mese fa a Briançon, il primo paese francese a quindici chilometri dal confine, c’era un rifugio dove i migranti potevano trovare ristoro. Con un tacito accordo, la gendarmeria spesso (ma non sempre) evitava di appostarsi fuori dall’ingresso, con i fogli di via in mano. Quest’estate la struttura è arrivata al collasso e adesso chi arriva in Francia è solo e senza assistenza. Tra i sentieri c’è qualche associazione di volontari, ma non c’è paragone in termini di sostegno. Lo scopo è arrivare alla prima stazione del treno e prendere un tgv per Parigi.

Secondo Don Chiampo, i controlli al confine risentono molto dei movimenti politici. «Se Giorgia Meloni e Emmanuel Macron si stringono la mano, vediamo che nei giorni successivi riescono a passare più persone». Lunedì 25 settembre il presidente della Regione Piemonte Alberto Cirio (Lega) si è recato a Claviere, l’ultimo comune prima della Francia, per chiedere di istituire un presidio fisso di polizia italiana al controllo della gendarmeria francese. Che spesso commette degli illeciti e respinge anche chi avrebbe il diritto di restare in Francia, come i minori non accompagnati. «Sui loro documenti c’è scritto che hanno meno di diciotto anni, ma a Lampedusa vengono registrati come maggiorenni – spiega Gorza –. La presunzione di minore età dovrebbe comportare un accertamento successivo, quindi a volte sono loro stessi che per paura di separarsi dai compagni di viaggio dichiarano di essere maggiorenni. Ma questo significa che sono poi obbligati a passare dalla montagna anche all’età di quattordici anni. Altre volte invece, sono i funzionari a registrarli in maniera errata».

Credits: Chiara Comai

In val di Susa tutti aiutano a far passare i migranti. La linea del bus che porta da Oulx (ultima fermata del treno) a Claviere (ultimo comune italiano) è stata potenziata, senza che fosse necessaria una richiesta esplicita da parte dei volontari. «Non raggiungo mai la capienza completa, così se trovo qualcuno sulla strada posso caricarlo», racconta un autista in partenza. Accanto al suo pullman ci sono due poliziotti italiani, che vigilano sull’operazione. I migranti salgono in fila, ognuno col suo biglietto da 3,10 euro, supportati dai volontari. Se ci sono respingimenti, la gendarmeria chiama la Croce Rossa e la polizia, che insieme riportano al rifugio le persone. Anche il Massi opera alla luce del sole, in accordo con la prefettura di Torino.

Una situazione ben diversa da quella raccontata dal governo italiano. Gli esodi in val di Susa sono rapidi ed efficaci. Il prezzo è altissimo per chi si sposta, ma c’è un forte aiuto da parte del territorio italiano. La val di Susa è la dimostrazione che quando l’obiettivo è comune non c’è divisa o retorica politica che tenga. Non ci sono striscioni o proteste da parte degli abitanti della zona, che eppure sono attraversati ogni giorno da centinaia di persone. Perché, appunto, si tratta di passaggi. Che l’Italia sta spingendo più che può, con successo. Al contrario di quello che dice.

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