Malgrado il Tg1 sottolinei dieci volte che c’è una crisi internazionale, restano i nudi numeri forniti dall’Istat e soprattutto quel segno “meno” che arriva un po’ inaspettato, per l’esattezza -0,4 per cento del Prodotto interno lordo nel secondo trimestre, calano anche l’occupazione, gli investimenti e l’export. Non c’è una domanda interna che sostenga l’economia, cresce la sfiducia nei consumatori. Così l’Italia di Giorgia Meloni rischia addirittura la recessione, e la notizia piomba su un governo che appare imballato sul fronte economico e su tante altre cose.
Perché il punto è questo. Non tanto la recessione economica, ma la recessione politica. I conti non tornano ed è ormai chiaro che la legge di Bilancio se non sarà proprio «lacrime e sangue» come dice Stefano Patuanelli del Movimento 5 stelle, certo non sarà una manovra di sviluppo dato che il governo appare rassegnato ad aspettare che passi la nottata, senza idee, senza colpi d’ala.
Si disegna lo spettro del Giulio Tremonti del 2011. Faceva finta di non vedere i problemi, si sa come finì. È lo stesso dramma di Meloni: la mancanza di una politica. Su tutto. Mario Draghi è lontanissimo.
Non c’è un solo settore per il quale si possa dire che sia stata avviata una riforma o che quantomeno un qualche provvedimento con un minimo di respiro, come se l’esecutivo che doveva cambiare il Paese fosse messo alle corde dalla realtà più che da un’opposizione che sparacchia a caso su tutto (non si è capita la fantasmagorica storia del referendum sul Jobs act) senza rendersi davvero pericolosa.
Dalla sanità alla scuola al dissesto idrogeologico per non parlare della totale inerzia sull’immigrazione non c’è un capitolo sul quale il governo abbia fatto alcunché o mostri di voler fare qualcosa, e che cosa. Per forza la fiducia degli investitori e dei consumatori crolla, chi vuoi che investa in questa situazione.
Ecco perché avevamo visto giusto quando scrivemmo che “la bella estate” promessa dalla presidente del Consiglio non sarebbe stata bella per niente: “La bella estate” è solo un titolo di un film in uscita. La realtà invece è quella di un Paese dove i prezzi continuano a essere alti – la buffonata di Adolfo Urso sui cartelli esposti dai benzinai ha fatto ridere tutti, ma di rabbia – e lasciamo stare le terribili notizie di cronaca, dai soldi per l’Emilia-Romagna alla strage di Brandizzo a tutte le emergenze strutturali che non si riesce a fronteggiare neppure con l’enorme aiuto del Pnrr, che anzi il governo tagliuzza qua e là.
Giorgia Meloni vuole realizzare una Legge di Bilancio di rigore, perché soldi non ce ne sono e, quei pochi a disposizione, dovranno essere utilizzati per favorire le famiglie e, soprattutto, la natalità, mentre Antonio Tajani ha spiegato ieri che gli assi nella manica saranno la detassazione delle tredicesime e degli straordinari, cose che si dicono da anni, più la conferma del cuneo fiscale, ma il problema è che i soldi sono pochini: secondo le prime stime degli analisi mancano all’appello diciotto miliardi. È il dato di ieri dell’Istat certo non aiuta.
Lei, Meloni, oltre a cambiare casa (beata lei che ha i soldi), si dice che sia preoccupata per questa inerzia né sembra avere grandi spin doctor in grado di cambiare la narrazione di un governo fermo che non è ancora in una situazione di pericolo sebbene la situazione oggettiva tenda a una crisi, se non formale, sostanziale. Il rischio di una recessione economica è ipotetico ma quello di una stagnazione politica è un fatto. Siamo alla vigilia di una fase nuova e non positiva per la giovane presidente del Consiglio che sembrava avere il Paese in mano e già non ce l’ha più.