Il velo sopra TeheranGli iraniani sono rimasti soli davanti all’inerzia di Stati Uniti ed Europa

Un anno dopo l’uccisione di Mahsa Amini, l’Occidente ha preferito riprendere i colloqui con gli ayatollah sul nucleare invece di scegliere la strada di nuove e ulteriori sanzioni in difesa dei diritti umani calpestati, mirate a creare una faglia nel regime

(La Presse)

Triste, terribile anniversario il 16 settembre in Iran. Un anno fa, è morta in carcere per le percosse ricevute Mahsa Amini, giovane curda di 23 anni la cui unica colpa era stata di avere mostrato una ciocca di capelli sotto il hijab. Enorme il movimento di protesta che da quel giorno, per tre mesi si è riversato nelle strade e nelle piazze iraniane con lo slogan in curdo «Jin, Jîan, Azadî», «Donna, Vita, Libertà», urlato anche dagli uomini. Centinaia e centinaia di migliaia di manifestanti, scioperi di massa non solo nelle grandi città, ma anche nella più remota provincia hanno dato al mondo il segnale: il regime degli ayatollah e dei Pasdaran è odiato, vissuto come intollerabile non solo dai giovani iraniani ma anche da una larga parte della popolazione.

Ma quel movimento è stato sconfitto, schiantato a fronte di una spaventosa e feroce repressione che – dobbiamo guardare in faccia la realtà – ha avuto il consenso o la passiva accettazione di una larga, grande, parte della popolazione iraniana.

Questa è stata, una delle scabrose ragioni della sconfitta del movimento innescato dall’uccisione di Mahsa Amini: la tenuta piena della compattezza del regime, forte della propria ferocia ma anche della presa su una sua indubbia base popolare. Nessuno scricchiolio, nessuna presa di distanza in nessun comparto del regime, solo un pugno di voci isolate da parte di qualche religioso eccessivamente sopra valutate dai media occidentali ignari della realtà iraniana. Spariti dalla scena, se mai sono esistiti, i “riformisti” che tante illusioni avevano creato in un Occidente ignaro della natura del regime iraniano tra il 1997 e il 2005 con la presidenza dell’ayatollah Mohammed Khatami. Egemone il blocco di potere che unisce il “clero militante” e i Pasdaran che hanno approfittato del loro ruolo centrale nella repressione per aumentare il proprio peso nei centri di potere,9º con la certezza ormai che le loro scelte e il loro peso saranno determinanti quando, tra non molto, si tratterà di nominare il successore di Ali Khamenei quale Guida Suprema al vertice della teocrazia iraniana.

Dunque, non solo la vittoria della repressione, ma anche la piena tenuta, senza eccezioni di tutti i gangli del potere. E le rivoluzioni, come i movimenti di massa non hanno futuro, non hanno sbocchi politici se non si apre una breccia, un indebolimento, nel regime, se una sua parte non si pone in ascolto delle masse in rivolta.

Forte di questa compattezza del regime, senza slabbrature, la repressione si è scatenata senza freni e la mattanza iraniana è stata agghiacciante: cinquecento e più manifestanti trucidati nelle strade dai Bassiji, le milizie civili islamiche prezzolate dal regime tra i più fanatici, dai Pasdaran e dalla polizia soprattutto nelle regioni delle minoranze etniche: Kurdistan e Belucistan. Migliaia e migliaia gli arresti e i feriti. Poi, i processi con secoli e secoli di detenzione comminati e – soprattutto – la forca. Ufficialmente i condannati all’impiccagione per le manifestazioni sono stati una dozzina, ma il balzo verso l’alto delle pene di morte comminate in Iran – Amnesty ne calcola un migliaio nel corso del 2023, contro le 314 del 2021 – soprattutto a membri delle minoranze baluci e curde, fa comprendere che molte condanne capitali per reati comuni hanno in realtà colpito manifestanti.

Imbelle, a fronte di questo dramma, la reazione internazionale. Sdegno, attrici e intellettuali che si sono tagliate ciocche di capelli in Europa e negli Stati Uniti, tanta, tanta solidarietà a parole, poche manifestazioni di massa  – le sole significative sono state quelle degli iraniani in esilio – e soprattutto – fatto cruciale – nessun reazione se non verbale, da parte dei governi. Stati Uniti e Europa in testa.

La ragione di questo silenzio è semplice: Stati Uniti ed Europa hanno preferito riprendere i colloqui con gli ayatollah sul nucleare invece di scegliere la strada di nuove e ulteriori sanzioni in difesa dei diritti umani calpestati, mirate a creare una faglia nel regime iraniano. Invece di azioni concrete per punire il regime e i Pasdaran, si sono messi a discutere con loro se levare gli stessi Pasdaran dalla lista delle organizzazioni terroristiche. I colloqui peraltro non hanno dato frutti se non quello di garantire a un regime assassino impunità sulla scena internazionale.

Nonostante le manifestazioni in occasione dell’anniversario della uccisione di Mahsa Amini, è ben difficile che il dissenso oggi assuma le dimensioni dell’anno scorso.

Gli iraniani sono soli.

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