«La metà delle persone che sostiene l’esame di teoria della patente non studia, va a tentativi. Prima o poi le risposte le azzecchi. Questo è un guaio! Quando sei in macchina hai in mano un’arma, non un gioco. Se sbagli fai male agli altri». Davide C., che preferisce restare anonimo, è un insegnante di guida in una zona centrale di Milano. Automobilista e ciclista allo stesso tempo, racconta lo sconforto che prova per i continui incidenti di biciclette e pedoni, investiti per le strade di Milano. Secondo lui, «il problema si risolve con la formazione degli automobilisti. Dovrebbe essere obbligatoria e continua».
Da gennaio ad agosto 2023, a Milano sono morti cinque ciclisti e sei persone a piedi. Oltre a questi, ci sono stati ventotto incidenti in codice rosso e altri due gravi. La comunità ciclistica reagisce scendendo in piazza, raccogliendo dati e cercando di incalzare l’amministrazione guidata da Beppe Sala. La richiesta principale è una: più sicurezza. A partire da una netta diminuzione della velocità delle automobili.
Tutto è partito con una lettera aperta al Comune di Milano, Città delle persone, che richiede la riduzione delle auto e una mobilità più sostenibile. Scritta nell’ottobre 2022 da diverse associazioni, la lettera ha dato il via a una serie di mobilitazioni collettive, parallele a un continuo monitoraggio degli interventi della giunta e del consiglio comunale.
Secondo Sai che puoi?, tra i firmatari, l’ordine del giorno Milano 30 e la delibera sui sensori ai camion per eliminare l’angolo cieco sono passi avanti. Ma c’è bisogno di iniziare il prima possibile il processo di restituzione della città alle persone, quindi a pedoni e ciclisti: «Ormai è diventato normale scendere in piazza dopo ogni incidente. Le macchine vanno troppo veloci, il Comune deve accelerare con queste misure» dicono.
Non mancano le proteste. «Lei ha mai provato a guidare ai trenta all’ora?» chiede Mauro Poletti, istruttore e insegnante di guida dell’autoscuola Vigentina. La collega Laura Bortolotti incalza: «In strada ci deve essere rispetto per tutti gli utenti. Il semaforo rosso vale per tutti, non solo per le automobili».
Al di là dei singoli punti di vista, resta la necessità di chiedersi se sia davvero possibile la convivenza in strada tra utenti differenti. Le città di oggi sono figlie della motorizzazione di massa degli anni Sessanta, ma oggi le esigenze sono diverse. Secondo alcuni insegnanti delle autoscuole milanesi contattate da Linkiesta, che rappresentano il primo anello della catena automobilistica, il problema sta a monte: «Di fronte a quello che succede, le amministrazioni reagiscono limitando la circolazione – dice Mauro P. -, ma nessuno si sta preoccupando di fare educazione stradale». A prescindere dal veicolo con cui ci si muove.
I tre istruttori concordano sulla necessità di stabilire un esame di guida obbligatorio al momento del rinnovo della patente. «Tanti hanno preso la patente quando non c’erano i monopattini e l’uso della bicicletta non era così intensivo, e oggi si trovano bloccati nel traffico di Milano – spiega Mauro P. -. Questo è normale, la mobilità si modifica».
Della stessa linea Palazzo Marino: «Dobbiamo coinvolgere le aziende. Attivare piani, incontri, insomma rifare un percorso simile alla scuola guida ma a distanza di venti o trent’anni dalla patente», conferma Marco Mazzei, consigliere comunale milanese, presidente della sottocommissione Mobilità attiva e Accessibilità e primo firmatario dell’Ordine del giorno su Milano Città 30. A suo dire, è necessaria una vera e propria «operazione culturale», che questa volta non deve partire dai giovani, «che hanno maggiore sensibilità sul tema», ma dalla popolazione più adulta. «Il problema è come convincere i loro genitori e i loro nonni». Viene da chiedersi se un cambiamento così radicale sia davvero realizzabile. Secondo Mazzei, sì: «Siamo sicuramente indietro, ma non siamo irrecuperabili».
La patente come prodotto commerciale
Per prima cosa, è troppo facile iniziare a guidare. Le scuole guida, e gli esami necessari per prendere la patente, potrebbero avere un ruolo cruciale nell’ottica di una convivenza ottimale tra pedoni e ciclisti, ma le attuali norme stanno soffocando questa potenzialità. «I test sono sempre più semplici. Da quaranta siamo passati a trenta domande per la teoria – denuncia Davide C. -. Per la mentalità italiana, la patente è qualcosa di dovuto». Anche le ore minime obbligatorie per la pratica sono diminuite nel tempo. «Se sono sufficienti solo sei ore di guida, non si può pensare che un ragazzo esca con una formazione consapevole, al di là di saper fare le manovre meccaniche» commenta Laura B.
A fare da garante per una corretta e sicura circolazione ci sarebbe il codice della strada, che Matteo Salvini, ministro dei Trasporti e delle Infrastrutture, ha proposto di modificare con un disegno di legge che ha creato non poche polemiche. Anche in questo caso, però, le criticità abbondano. «È uno strumento per la mobilità che però è stato concepito soprattutto per favorirla – spiega Mazzei -, infatti è nato proprio negli anni della motorizzazione di massa».
E ancora oggi non avrebbe perso il suo carattere più commerciale. «Le lezioni di guida sono tra i pochissimi, se non gli unici, tipi di insegnamento su cui si paga l’Iva – dice Davide C. -. Sa qual è la cosa assurda? Che l’Iva riguarda solo la patente B, quella più comune. Per tutte le alte tipologie di guida non si paga». Poi tira fuori il cellulare e mostra la nuova pubblicità dell’applicazione per i quiz per mettersi alla guida. «La narrazione è questa: è tutto facile, è tutto dovuto».
Più occhi sulle targhe
Una volta presa la patente, secondo gli insegnanti di guida è tutto in discesa. Ed è un male. «Se i vigili facessero le multe, non staremmo tutti al telefono – dice l’istruttore Davide C. -. In altri Paesi europei la gente ci pensa due volte prima di staccare gli occhi dalla strada, perché se ti beccano devi pagare caro».
Stessa cosa per gli autovelox, cruciali secondo Mazzei. «Ne servono di più e dobbiamo utilizzarli meglio. Potremmo ridurre drasticamente il numero di incidenti gravi». Qui, a complicare le cose, subentra la burocrazia italiana. «Per installarne uno solo, una città come ad esempio Milano deve chiedere il permesso al ministero dei trasporti. La pratica è piuttosto complicata e la risposta può arrivare anche sei mesi dopo. E magari non è nemmeno un via libera, ma può essere una richiesta di approfondimenti e quindi bisognerà aspettare ancora chissà quanto», dice.
«Questo rende l’idea di quanto sia complicato intervenire a livello culturale sulla dipendenza da automobile». Dipendenza? «Sì. Siamo tutti d’accordo sull’avere una città che sia meno inquinata, ma poi quando bisogna ridurre il numero di auto iniziano le proteste. A Milano ce ne sono cinquanta ogni cento abitanti: su questo siamo tra le migliori città d’Italia, ma tra le peggiori in Europa».
Una città raccontata meglio
Gli interventi volti a disincentivare l’utilizzo dell’automobile sono ancora molto impopolari. Quando si parla di limite ai trenta chilometri orari, si sollevano le lamentele. Secondo Mazzei è possibile trovare un punto di incontro solo con una buona comunicazione. Sa che su questo l’amministrazione di Milano non ha investito abbastanza e ammette che si tratta di «uno degli aspetti su cui siamo più indietro».
«Le amministrazioni da sole non ce la fanno. È necessario ingaggiare qualche società che si occupi di raccontare le nuove riforme, che si accerti che vengano recepite e spiegate le problematiche ai cittadini. Però il Comune non è attrezzato, mancano i fondi. E forse fino a oggi non c’è stata davvero l’esigenza di investire nella comunicazione».
Nella lettera aperta al sindaco, Città delle persone, le associazioni ambientaliste chiedono per prima cosa di non organizzare più il Milano Monza Motor Show, un «salone automobilistico a cielo aperto». Secondo loro si tratta di un sostegno «in netto contrasto con l’obiettivo di riduzione del numero di vetture private circolanti». Una richiesta di coerenza anche comunicativa, quindi, potrebbe essere un primo passo per raccontare la città in maniera diversa.