Paradiso svelatoLe fibre di Mariko Kusumoto raccontano l’infinita bellezza della natura

Nota al grande pubblico per l’eco mediatico della parentesi dell’haute couture, è tra le fiber artist più famose al mondo. Realizza sculture eleganti e minimali in organza e tessuti di tutti i colori, al fine di raccontare la meraviglia del creato, che non si può riprodurre, ma solo inventare

Mariko Kusumoto, Seabed

Istanti di paradiso in terra sono quelli a cui dà vita Mariko Kusumoto con organza e metallo. Leggere, minime e delicate, queste opere raccontano sempre l’infinita bellezza della natura che le ha ispirate. L’armonia e la piacevolezza estetica per l’artista non sono mai autoreferenziali, bensì un vero inno alla magnificenza dell’esistere, di ciò che ci circonda, di cui l’essere umano è solo un elemento. Per tale ragione ogni intento sociale o di denuncia contro i danni generati sull’ambiente è considerato “rumore” inutile dall’artista, che passa, vede e racconta un altrove onirico e panteistico. Compito dell’artista è il raccontare la bellezza del creato, andando oltre a una sua mera e impossibile riproduzione: il segreto è perciò scavare nell’immaginazione, vedere il mondo oltre il visibile con gli occhi dell’anima per inventare nuove forme e colori, che superino ogni limite umano gnoseologico e percettivo.

Mariko Kusumoto, Sphere pins with display stands

L’artista si è raccontata in una lunga intervista dicendo fin da subito che «solo le fibre tessili hanno insieme la morbidezza, la fragilità, la resilienza, la translucenza, i colori e le texture necessarie per raccontare la magnifica complessità della natura che continuo a scoprire ogni giorno». L’artista, nata in Giappone nel 1967, è infatti oggi considerata tra i maggiori artisti tessili viventi, anche se sempre più spesso elementi metallici fanno capolino nei suoi lavori.

Dopo aver studiato presso l’Università d’Arte Musashino a Tokyo si è trasferita negli Stati Uniti per studiare all’Accademia di San Francisco e attualmente vive principalmente in Massachusetts. In America il suo lavoro si sviluppa e prende forma fino a essere celebrato nella mostra antologica Mariko Kusumoto: Storie che si svelano, che nel 2010 gira tutto il Paese. Sempre più celebrata dal mondo dell’arte, nel 2019 raggiunge un improvviso e dirompente successo mediatico grazie alla riuscita collaborazione per la nuova stagione haute couture di Jean Paul Gaultier. Nello stesso anno espone al Museum of Arts and Design e alcune sue opere vengono acquisite prima dal Smithsonian American Art Museum di Washington, poi dal Victoria and Albert Museum e infine dal Los Angeles County Museum of Art.

Mariko Kusumoto, Seascape brooch

Quanta influenza ha la cultura giapponese sul tuo lavoro?
Mi sono trasferita dal Giappone negli Stati Uniti tanto tempo fa. Spesso mi manca il mio paese natio, ma non potrei mai rinunciare alla mia vita creativa negli Stati Uniti in cui c’è sempre traccia del luogo da cui provengo. Le espressioni di vaghezza, implicazione, modestia e bellezza nascosta sono caratteristiche del senso estetico giapponese e sono parti molto importanti del mio lavoro. Puoi vedere questi elementi nell’arte, nella lingua, nella letteratura, nelle comunicazioni, in tutto ciò che ha a che fare con il Giappone.

Le tue opere d’arte evocano la fragilità e la bellezza della natura. Il tuo lavoro è una dichiarazione contro il cambiamento climatico?
Quando penso a un’opera, così come quando la creo, non sto realmente pensando di fare una dichiarazione sul cambiamento climatico, ma amo fare passeggiate nel bosco, guardare le piante e godermi anche i documentari sull’oceano e sulle creature marine. Le mie scoperte quotidiane e le sorprese nella natura passano attraverso il mio filtro e vengono ricostruite nel mio lavoro. Io amo la natura, questo c’è nel mio lavoro. Non possiamo sopravvivere senza di lei, perché ha il potere di guarire. Spero che attraverso il mio lavoro le persone diventino più consapevoli dell’importanza e della bellezza della natura. Questo per me è più importante pensino della lotta contro il cambiamento climatico.

Qual è quindi il messaggio che vuoi comunicare attraverso il tuo lavoro?
Una cosa che mi piace del mio lavoro è che non è difficile da capire. Voglio creare qualcosa di semplicemente bello, che parli direttamente allo spettatore, indipendentemente da età, etnia, genere e cultura. Voglio che le opere possano stare da sole senza aver bisogno di spiegazioni, mie o di altre persone. Perciò nel lavoro c’è la risposta alla tua domanda.

Mariko Kusumoto, Sea Garden 1

Il tuo lavoro da molti viene definito bello ed estetizzante. Non temi che questo celi un giudizio negativo sullo “scarso” impegno sociale del tuo lavoro?
“Semplicemente bello” suona semplice ed è facile da dire, ma non è necessariamente facile da fare, penso. Ma – inutile dirlo – è una delle cose più potenti e universali. Sono sempre sorpresa da quanto fortemente le persone reagiscono al mio lavoro.

Come crei e come si sviluppano i tuoi pezzi: fai degli schizzi o li pianifichi in anticipo?
Quando ho delle idee faccio semplicemente un campione veloce con il tessuto, ma quando ho fretta faccio degli schizzi e prendo note solo per ricordar, di solito non li pianifico. Il mio processo è molto simile a un collage: amo lavorare su sculture di grandi dimensioni, ma allo stesso tempo mi diverto a creare pezzi indossabili. Non puoi farlo con grandi dipinti e sculture, ma ci sono delle cose che solo la gioielleria contemporanea può realizzare per via delle sue dimensioni più piccole, ed è una cosa interessante. I proprietari dei miei lavori spesso dicono che le persone li avvicinano sempre quando indossano i miei pezzi, e iniziano conversazioni. Può essere solo un oggetto, ma mi piace il modo in cui mette in contatto le persone. È interessante vedere come l’oggetto influisce positivamente sulle emozioni e sulle menti delle persone.

Il tuo lavoro ha come protagonisti il colore e la luce: non pensi mai in bianco e nero?
La luce è una parte molto importante del mio lavoro: fotografo le mie opere e a seconda del momento e del luogo in cui le fotografo. La luce cambia, il che fa apparire il lavoro diverso, perché ricco di una forte translucenza. Anche il colore dello sfondo influisce sul modo in cui appaiono. Poi amo e ho usato – anzi vorrei farlo di più – il bianco e il nero. Perché la natura è fatta a colori, perciò anche le sfumature del nero e del bianco.

Mariko Kusumoto, Seascape sculpture

Potresti raccontarci brevemente tre opere che consideri le più importanti nella tua carriera?
La mia carriera è fatta di sperimentazioni continue, per cui un lavoro nutre l’altro. All’interno di questo percorso per me è stato fondamentale un pezzo chiamato Toy Capsule, che è una grande collana. Ho incluso tutte le cose che mi piacciono, come giocattoli, piante, animali e minerali all’interno del tessuto a forma di sfera. È stato un lavoro precoce e stavo esplorando le possibilità del tessuto. Ricordo di essere rimasta molto sorpresa da ciò che potevo fare con questo materiale. Poi senz’altro c’è stata Sea Garden 1, la mia prima scultura, con la quale ho iniziato a sperimentare diverse forme e colori del mondo marino, un universo che mi appartiene e che ricorre spesso nei miei lavori. Infine, ci tengo a ricordare la scultura Seabed, che è stata la mia sperimentazione con pezzi di dimensioni ancora più grandi.

La moda e la tua arte: che storia è?
Una recente passione. Fino a pochi anni fa, quando ho lavorato al progetto con Jean Paul Gaultier nel 2019, ero molto ignorante riguardo al mondo della moda. Pensavo che fosse un campo lontano da ciò che faccio, che fosse qualcosa di diverso, di superficiale e sfavillante. Tuttavia, quando ho imparato di più sui migliori stilisti di moda, tra cui Rei Kawakubo, ho realizzato che il loro modo di pensare e il loro processo creativo non sono diversi da altri campi artistici. Questa esperienza mi ha confermato che non ci sono confini tra le forme d’arte.

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