Ieri mattina l’ex presidente della Catalogna Carles Puigdemont ha organizzato una conferenza stampa a Bruxelles in cui ha annunciato le quattro condizioni necessarie affinché il suo partito, Junts (indipendentista e di centrodestra), sostenga la formazione di un nuovo governo spagnolo, tra cui spicca la richiesta di amnistia per i politici e gli attivisti coinvolti nel referendum indipendentista del 2017.
I voti dei sette deputati del partito sono infatti fondamentali per sostenere l’investitura sia del candidato scelto a fine agosto dal re Felipe VI, Alberto Nuñez Feijóo, leader della coalizione di destra, che di un eventuale ritorno al governo del premier uscente Pedro Sánchez e della sua coalizione di sinistra. Feijóo ha già fatto sapere di non essere disposto ad accettare nessuna delle condizioni poste da Puigdemont, mentre Pedro Sánchez e i suoi alleati, che con le ultime dichiarazioni si sono allontanati dai piani dell’ex presidente, in realtà lavorano a un possibile accordo già da settimane.
La prima condizione posta da Puigdemont è il riconoscimento della legittimità democratica dell’indipendentismo catalano. «Ci considerano la seconda minaccia più grave per lo Stato dopo il terrorismo jihadista», ha dichiarato il leader di Junts, citando il caso di spionaggio politico ai danni di decine di dirigenti indipendentisti di cui era stato accusato il governo dell’ex presidente Mariano Rajoy.
La seconda condizione è anche la più importante: una legge che permetta l’amnistia dei leader e degli attivisti che sei anni fa avevano organizzato il referendum per l’indipendenza della Catalogna che aveva portato alla dichiarazione di indipendenza della regione, annullata pochi giorni dopo. A seguito della dichiarazione, Puigdemont è scappato a Bruxelles, dove si trova in esilio tuttora grazie alla sua immunità da europarlamentare.
«Trattandosi della politica spagnola, la prudenza non è mai troppa», ha dichiarato Puigdemont, che infatti ha imposto come terza e quarta condizione per il sostegno di Junts la creazione di un meccanismo di mediazione e verifica dell’applicazione degli accordi e il rispetto dei trattati internazionali in materia di diritti umani e libertà fondamentali come unico limite alle negoziazioni.
«Da anni, i leader indipendentisti cercano di diffondere la narrazione secondo cui la Spagna non è una democrazia piena e matura, spesso invocando norme internazionali per difendersi da uno Stato che considerano persecutorio e autoritario nei loro confronti. Con questa condizione, Puigdemont sottintende che la Costituzione spagnola non può limitare le negoziazioni e che bisogna rifarsi alle leggi internazionali: di fatto, è un modo per scavalcare la legittimità dello Stato spagnolo attraverso un’altra legittimità che gli indipendentisti riconoscono e che ritengono superiore», ha spiegato a Linkiesta Andrea Betti, professore di Relazioni Internazionali all’Università Pontificia Comillas di Madrid.
Nel suo discorso, il leader di Junts ha invitato sia il Partido Popular (Pp, centrodestra) sia il Partito socialista (Psoe) di Pedro Sánchez ad arrivare a un «compromesso storico». «A Puigdemont non interessa davvero chi sarà il prossimo presidente spagnolo: cerca appoggio per la causa indipendentista e per risolvere i suoi problemi giudiziari un po’ ovunque», ha precisato Betti. Tuttavia, in seguito alla conferenza stampa, il leader del Pp, Feijóo, ha annullato l’incontro previsto con Junts. «Se per diventare presidente devo concedere l’amnistia, possiamo risparmiarci la riunione», ha dichiarato Feijóo, che ha definito le richieste di Puigdemont «inaccettabili e impossibili».
Le prime reazioni dalla coalizione di sinistra sono arrivate dalla portavoce del governo ad interim (guidato da Sánchez), Isabel Rodríguez, che ha dichiarato che le posizioni di Junts e del governo «sono agli antipodi» e che il governo sostiene il dialogo e la convivenza, ma anche il rispetto della Costituzione. Molto più incisivo è invece il comunicato congiunto rilasciato lunedì da Puigdemont e Yolanda Díaz, vicepresidente del Governo e leader della piattaforma di sinistra Sumar, in cui i due si erano dichiarati pronti a «esplorare tutte le soluzioni democratiche per sbloccare il conflitto politico». La visita, la prima che Puigdemont riceve da parte di un ministro del governo spagnolo dalla sua fuga a Bruxelles, ha agitato gli animi della destra e costretto il governo a precisare che Díaz si trovava in Belgio come leader di Sumar, e non come rappresentante dell’esecutivo.
«Dal punto di vista politico e parlamentare, Sánchez ha dimostrato di essere capace di far approvare leggi anche molto ostacolate dal resto dei partiti e da alcuni settori della società, come quando ha concesso la grazia a nove leader separatisti catalani nel 2021 o eliminato il reato di sedizione nel 2022», ha spiegato Betti. Per fare lo stesso con l’amnistia, il Partito socialista dovrebbe presentare una proposta di legge al parlamento e ottenere la sua approvazione entro il 27 novembre.
Come ha commentato Puigdemont nel suo discorso, chi vorrà il sostegno di Junts si ritroverà a affrontare «in poche settimane una negoziazione che era stata considerata inutile per sei anni». Una corsa contro il tempo a cui Sánchez deve ancora dire a voce alta davanti al Paese di voler partecipare.