In Spagna, la «campagna elettorale dell’incertezza» che ha portato alle elezioni amministrative e regionali di domenica scorsa si è conclusa con la vittoria del Partido Popular (Pp, centrodestra), che è riuscito a sottrarre al Partito socialista (Psoe, centrosinistra) del premier Pedro Sánchez sei regioni e numerose città importanti, come Siviglia e Valencia. Ottimi risultati anche per il partito di estrema destra Vox e per i partiti indipendentisti regionali. Di fronte alla sconfitta, Sánchez ha anticipato le elezioni nazionali previste per dicembre al 23 luglio, una strategia d’emergenza che in passato ha sempre premiato il Psoe.
Con due milioni di voti in più che nel 2019, il Partido popular esce vittorioso dalle elezioni di domenica, riconquistando territori chiave come la Comunidad Valenciana e arrivando alla maggioranza assoluta a Madrid, sia a livello regionale che comunale, e in numerose città andaluse, storiche roccaforti socialiste. In sei regioni e in numerosi comuni, tuttavia,per governare il Pp avrò bisogno del sostegno di Vox, che è passato dal 2,9 per cento al 7,18 per cento dei voti. Il leader del Pp Alberto Núñez Feijóo e quello di Vox Santiago Abascal si sono già congratulati a vicenda, ma la strada per trovare nuove alleanze si preannuncia in salita a causa delle numerose divergenze degli ultimi mesi.
A livello locale, anche la coalizione della sinistra basca Bildu e il partito indipendentista dell’ex presidente della Catalogna Carles Puigdemont Junts hanno ottenuto ottimi risultati. Nonostante le polemiche sollevate da Pp e Vox sugli ex membri dell’Eta che si erano candidati alle elezioni e sul ritiro dalle liste di sette di loro, Bildu è riuscito a diventare il partito più votato nel capoluogo Vitoria e a mettere in discussione il primato del Partido Nacionalista Vasco (Pnv) in tutta la regione. A Barcellona, dopo un estenuante triplo pareggio, il candidato di Junts ed ex sindaco Xavier Trias è riuscito a ottenere il ventidue per cento dei voti rispetto al diciannove per cento dei voti raggiunti sia dal socialista Jaume Collboni che dalla sindaca Ada Colau.
Con quattrocentomila voti in meno rispetto al 2019, per il Psoe invece la sconfitta non è una questione di numeri, ma di potere politico: la frammentazione dei partiti a sinistra del Psoe in due, tre o anche quattro candidature diverse ha penalizzato la sinistra e in particolare il principale alleato dei socialisti, Unidas Podemos, che è passato dal governare in sei regioni a una sola, Navarra.
Scegliendo di anticipare le elezioni, Sánchez ha lanciato un segnale fortissimo alla sinistra spagnola e al suo elettorato, che dopo la discesa in campo della ministra del Lavoro Yolanda Díaz e della sua nuova piattaforma politica Sumar lo scorso aprile si erano ulteriormente frammentati. Ora Sumar – che aspira raccogliere in una sola piattaforma altri micropartiti come Izquierda Unida, Catalunya en Comú, Compromís, Verdes Equo e Alianza Verde – e Podemos hanno dieci giorni di tempo per annunciare un’eventuale candidatura congiunta e altri dieci per presentare le loro liste per le elezioni generali.
Non è la prima volta che un leader del Psoe sceglie di forzare la mano e andare a elezioni anticipate. Nel 2008, José Blanco, il mentore di Sánchez, aveva spinto l’ex presidente socialista José Luis Rodríguez Zapatero a fare lo stesso dopo aver perso centocinquantamila voti alle elezioni municipali del 2007. Lo stesso Sánchez ha utilizzato questa tecnica nel 2019, dopo la crisi della maggioranza scatenata dai principali partiti indipendentisti catalani, convocando le terze elezioni regionali in meno di quattro anni. Il risultato è stato una mobilitazione di massa della sinistra spagnola, impaurita dal successo elettorale in Andalusia di Vox, che ha portato il Psoe ad assicurarsi la maggioranza assoluta al Senato e a diventare il primo gruppo parlamentare del Congresso dei Deputati.
Oggi Sánchez ripete la stessa mossa: chiamare l’elettorato di sinistra alle urne per scongiurare l’ascesa di Vox al governo e frenare l’ondata conservatrice che ha già investito molti Paesi europei, come l’Italia e la Grecia. Ma la situazione è molto diversa: l’estrema destra non è più una minaccia, ma la terza forza politica più votata nel Paese alle elezioni locali. Inoltre, a luglio moltissimi spagnoli saranno già in vacanza, e non è chiaro quanti saranno disposti (o riusciranno, dati i frequenti incendi e ondate di calore che hanno caratterizzato la Spagna negli ultimi anni) a tornare a casa per votare. Allo stesso tempo, votare a luglio vuol dire sacrificare il semestre europeo di presidenza spagnola sull’altare della politica interna, dato che il suo inizio coincide quasi perfettamente con quello della campagna elettorale.
Anticipando le elezioni, Sánchez ha scelto soprattutto di evitare mesi di discussioni interne con i suoi alleati al governo e con i membri del suo partito delusi dall’esito di domenica e di concentrarsi invece sul cercare una risposta a una sola domanda: la maggioranza sociale che ha portato il Psoe al governo e reso la Spagna uno dei Paesi più progressisti d’Europa non esiste più o non è semplicemente andata a votare?