Sono passati cinquant’anni dalla morte di John Ronald Reuel Tolkien e in giro sono apparsi diversi articoli sul suo legame indissolubile con la destra italiana o articoli su come lo scrittore britannico in realtà sia un patrimonio della sinistra. Un’abitudine tutta nostrana di dividersi dogmaticamente l’eredità culturale dei grandi autori, con la stessa foga di Odisseo e Aiace desiderosi di possedere l’armatura di Achille. E allora si studiano minuziosamente trame, simboli e personaggi del “Signore degli Anelli”, “Lo Hobbit” e “Il Silmarillion” per capire se Barbalbero è il progenitore di Greta Thunberg e la Tana di Bilbo Baggins una profezia del superbonus 110 per cento. Si citano i passi della autobiografia “Io sono Giorgia”, in cui Meloni racconta di essersi vestita da Samvise Gamgee ai raduni dei giovani militanti; si ripescano dagli archivi vecchie interviste del 2008 in cui la presidente del Consiglio si fece ritrarre nel suo studio con la statuetta di Gandalf, quando era ministra per la Gioventù. Così come abbondano citazioni degli esponenti di Fratelli d’Italia su come non farsi corrompere dall’anello del potere.
E se fosse tutto un grande, grandissimo equivoco culturale? Se le continue citazioni dei politici di destra su Tolkien fossero più un riflesso nostalgico di un periodo ben preciso del passato che la prova di un legame culturale e ideologico sempiterno? Se involontariamente una certa destra italiana avesse già superato (o forse mai capito) il conservatorismo di Tolkien adottando un nuovo codice culturale più in linea con le sue politiche e più vicino semmai all’antinichilismo di Michael Ende? Non a caso Meloni ha chiamato “Atreju” (il protagonista de “La storia infinita”) e non “Frodo” la manifestazione politica giovanile della destra italiana, che organizza dal 1998.
I Campi Hobbit
Partiamo dall’origine di questo equivoco: i campi Hobbit. Furono una serie di feste politiche organizzate da alcuni (non tutti) militanti del Fronte della Gioventù, l’organizzazione giovanile del Movimento Sociale Italiano, dal 1977 al 1980 (il quarto del 1981 non è considerato un vero Campo Hobbit, ma un evento speciale legato alla spedizione di soccorsi per i terremotati dell’Irpinia). La prima edizione fu organizzata in aperta contrapposizione con gli “adulti” del MSI che non mandarono i loro dirigenti e fecero girare la voce che i partecipanti, definiti con disprezzo «castristi», sarebbero stati espulsi dal partito.
Il raduno fu il culmine di un percorso culturale dei giovani di destra che volevano essere figli del proprio tempo, cercando nuovi e solidi riferimenti culturali a cui appoggiarsi, senza però adottare l’egemonia culturale dei loro omologhi di sinistra e senza usare la nostalgica retorica fascista di legge e ordine. «La creatura letteraria di Tolkien diventò lo strumento per uscire dall’angolo in cui quell’ambiente era stato cacciato o si era infilato», chiarisce Pietro Comelli nel suo libro “Campo Hobbit 1977”. Non a caso uno degli slogan del raduno fu: «Uscire dal tunnel del fascismo». Il mondo di Tolkien offriva una sponda per sviluppare una cultura di destra moderna, non razzista e non patriottarda. Il contrario dell’atteggiamento del Movimento sociale italiano di Giorgio Almirante che in quegli anni raccoglieva le firme per introdurre la pena di morte.
Ma soprattutto il Campo Hobbit nacque come tentativo di allontanarsi politicamente dalla prima linea dello scontro fisico che stava caratterizzando gli anni di piombo. «L’idea era quella di non contribuire al gioco al massacro del terrorismo di destra e di sinistra ma fare un passo indietro. Un cambio di rotta espresso con documenti congressuali all’interno del Fronte della gioventù. All’epoca si usarono due espressioni: “metapolitica” e “attività parallele”. Si iniziarono a formare circoli nel partito che trattassero di letteratura, poesia, ambiente, ecologia, urbanistica, questione femminile. Tutti questi movimenti si riunirono nel primo Campo Hobbit che aveva un sottotitolo fondamentale: “Una festa a lungo attesa”. Una festa, non una battaglia. Questo era il clima culturale che si voleva creare nella fase più drammatica della strategia della tensione e degli scontri tra gli opposti estremismi. Non a caso il simbolo di quell’evento non è Aragorn, né Legolas, né un orco, ma gli hobbit», spiega la giornalista Flavia Perina a Linkiesta.
Proprio Perina partecipò alla fondazione della rivista femminile di destra “Eowyn”, nata a Firenze nel 1976 su iniziativa delle militanti del Fronte della Gioventù, chiamata così dall’eroina del Signore degli Anelli che invece di restare a casa, disobbedisce e va a combattere con gli uomini uccidendo in battaglia il Re stregone di Angmar, uno dei servi più fedeli e temibili di Sauron.
Il MSI cercò poi di annacquare il secondo Campo Hobbit nel 1978 trasformandolo in un comizio di partito con noiosi interventi dei dirigenti. La rottura tra quel mondo giovanile e gli “adulti” si consumò con il terzo raduno del 1980 a Castel Camponeschi, allestito separatamente come un’organizzazione autonoma al MSI, senza utilizzare minimamente le strutture e le liturgie di partito. L’ideologo di questi eventi, Marco Tarchi oggi professore all’Università di Firenze, fu poi espulso per un articolo satirico contro il partito nel 1981 e quella stagione culturale si stemperò in una serie di iniziative culturali autonome.
Quando Meloni si chiamava Khy-ri, la draghetta di Undernet
Ma perché quarant’anni dopo associamo ancora Tolkien alla destra, nonostante i Campi Hobbit siano stati un fenomeno per certi versi minoritario e durato per pochi anni? Forse perché negli anni Ottanta e Novanta furono organizzati altri raduni, usando simboli tolkeniani ma con una impostazione diversa: non un luogo dove riflettere ideologicamente sulla costruzione di un mondo diverso ma più una scusa per stare insieme e consolidare la comunità dei giovani militanti di destra in un periodo storico in cui l’MSI sarebbe diventato poi Alleanza Nazionale con la svolta di Fiuggi del 1995 voluta dall’allora segretario Gianfranco Fini.
Ed è in questo contesto culturale così diverso dagli anni del terrorismo che crescono i fratelli (e le sorelle) politiche di Giorgia Meloni. Gli Hobbit, la Contea, l’Anello del potere diventano parole d’ordine generazionali e non ideologiche. Quando Meloni cita frasi del libro di Tolkien, non condivide quella storia politica e la sua ideologia, ma parla alla sua comunità di militanti con cui ha condiviso momenti di aggregazione politica alla fine degli anni ’90 e inizio Duemila, quando nel suo blog su IRC si faceva chiamare «Khy-ri, la draghetta di Undernet».
Parte di questo equivoco sull’indissolubile legame ideologico tra Tolkien e la nuova destra italiana è involontariamente alimentato dal clan Meloni. Arianna, la sorella della presidente del Consiglio, il 25 settembre 2022 commentò la vittoria di Fratelli d’Italia alle elezioni del 2022 scrivendo in un post: «Ti accompagnerò sul monte Fato a gettare quell’anello nel fuoco, come Sam con Frodo». Parole profetiche ora che è stata scelta dalla premier come nuova responsabile della segreteria di Fdi. Ma sono in due a volere il ruolo di Samwise, visto che Giorgia scrive nella sua autobiografia: «È sempre stato il mio personaggio preferito. Non ha la regalità di Aragorn, la magia di Gandalf, la forza di Gimli o la velocità di Legolas. Senza di lui Frodo non avrebbe mai compiuto la missione. Sa che non saranno le sue gesta a essere cantate in futuro, ma non è per la gloria che rischia tutto. “Sono le piccole mani a cambiare il mondo”».
«Il tema della quest, la sfida del viaggio vista come missione da compiere è uno degli archetipi più potenti dell’opera di Tolkien che ha sempre affascinato il mondo della destra. Certo, poi ci sarebbe da ragionare su chi è che salva davvero la Terra di Mezzo. Sam e Frodo? Paradossalmente Gollum? Oppure l’interazione tra tutti questi personaggi in un disegno provvidenziale che fa sì che in qualche modo non poteva non andare in questo modo?», spiega Salvatore Santangelo, giornalista ed esperto del mondo di Tolkien. «Nelle opere dello scrittore britannico c’è un senso del destino e del fatalismo fortissimo anche se i personaggi sono chiamati a delle scelte morali molto forti e non sempre si rivelano all’altezza, anzi la maggior parte delle volte non lo sono. Non lo è Frodo, come non lo è Boromir. In Tolkien è presente il senso di consapevolezza forte della propria identità, lo spirito di missione e riuscire proprio in base al valore alla forza di questo spirito di missione a trascendere la limitatezza dei mezzi a disposizione».
Le somiglianze e le differenze tra Tolkien e la destra italiana
Mezzi limitati, una missione impossibile da compiere e tutto il mondo contro. Fin qui la narrazione della destra meloniana e il mondo tolkeniano coincidono. Ma allargando lo sguardo sull’intera opera dello scrittore britannico si iniziano a notare piccole e grandissime differenze. A partire per esempio dallo Stato: un elemento fondamentale nella storia politica della destra, così come la volontà di raggiungere il potere per fare delle cose. «Tolkien introduce un aspetto per cui il potere, qualsiasi forma di organizzazione del potere, non è che arbitrario e corruttivo dei singoli, delle comunità e porta alla guerra civile come quella tra le stirpi degli Elfi o quella che ha condotto alla caduta di Numenòr. Per cui la Contea si autogoverna, gli Hobbit non hanno neanche un sindaco; Gondor invece ha un re che è legittimo perché è taumaturgo e il suo potere si manifesta tramite la capacità di curare i corpi e le anime, come nel mito arturiano. La città però poi inizia a decadere nel momento in cui subentrano i Sovrintendenti: tra questi Denethor II e la sua stirpe. Tolkien pone il problema del potere, ma non lo risolve», spiega Santangelo. Quindi esaltare in un post di Facebook di volersi liberare dell’Anello del Potere è radicalmente diverso dalla tipica “volontà di potenza” della destra di usare il potere per incidere sulle dinamiche del mondo e far accadere delle cose.
Un altro forte elemento di discontinuità è la convinzione politica dello scrittore britannico che trasuda nelle sue opere: «Tolkien appartiene a una destra conservatrice anglosassone, che guarda sempre con una certa diffidenza aristocratica e un certo grado di sospetto le mobilitazioni delle masse popolari. Un elemento tipico invece della tradizione fascista e del modernismo reazionario in cui c’è l’estasi della mobilitazione e la simbiosi tra massa, Stato e capo. Nella geografia politica de “Il Signore degli Anelli” Tolkien mette da una parte gli individui-eroi che cercano di raggiungere l’obiettivo contro le masse di Orchi, Sudroni o Esterling che vengono evocate e mobilitate dal potere e della fascinazione di un capo, che sia Sauron o Saruman», spiega Santangelo.
Per non parlare anche del tema ecologista: «Tolkien essendo anti moderno rifiuta la società delle macchine e il suo ambientalismo è integrale. Mentre oggi la destra ritiene che l’ambientalismo e gli interventi per ridurre gli effetti del cambiamento climatico siano parte di una narrazione globalista. Si sente poco a proprio agio all’interno diciamo di questo perimetro perché ragiona in termini produttivistici in antintesi col messaggio tolkieniano. Invece negli anni Settanta i giovani militanti dei Campi Hobbit abbracciavano il pensiero ecologista del “Signore degli Anelli”. E non a caso in quella stagione politica nacque il movimento di opposizione dei giovani di destra all’uso dell’energia nucleare, che come vediamo nell’ultima narrazione di Nolan è l’atto prometeico per eccellenza», chiarisce Santangelo.
Il mito di Atreju
Un’altra evidente contraddizione col mondo tolkeniano la mostra sempre Meloni pubblicando nell’ottobre del 2018 una foto a cavallo del drago di Daenerys Targaryen, allo stesso tempo outsider e designata a sedere nel Trono di Spade. «Rispetto al mondo di Tolkien dove il fato è predeterminato, Daenerys parla esplicitamente di spezzare la ruota dell’Eterno ritorno. Un pensiero che – come ho provato a spiegare in un saggio sul tema – è più vicino alla sinistra delle magnifiche sorti progressive: a un certo punto si deve inverare un’utopia nella realtà, che sia quella socialista, marxista, comunista o di una generica liberazione. La destra invece ama il fantasy anche perché esprime una visione tragica della vita e della storia, imprigionata appunto nell’eterno ritorno e nella lotta per il potere», spiega Santangelo.
L’ecologismo, la visione del potere, la modernità, le masse, lo Stato. Sono tanti i punti discontinui tra l’eredità culturale di Tolkien e la destra italiana. Se proprio dobbiamo pescare dal mondo fantasy un pantheon culturale da associare alla destra di Fratelli d’Italia il riferimento immediato è “La Storia Infinita” dello scrittore tedesco Michael Ende. Nel romanzo il piccolo Bastian cerca di salvare attraverso l’eroe Atreju il mondo di Fantàsia minacciato dal “Nulla” che vuole distruggerlo. Ecco, Atreju è diventato il riferimento dell’evento estivo di Meloni perché è l’eroe antinichilista per eccellenza, contro il mondo globalizzato che secondo la destra ci vuole come consumatori apatici.
«A un certo punto la destra giovanile degli anni Novanta e i movimenti culturali a essa collegati hanno sentito l’esigenza di fare un salto oltre i Campi Hobbit, cercando un mito capacitante, così come le teorie di Evola lo erano state dopo la sconfitta del fascismo e Tolkien a sua volta lo era stato per superare Evola. L’Atreju anticapitalista diventa un mito capacitante perché è una storia più lineare e supera tutte le contraddizioni che abbiamo detto del rapporto con Tolkien», spiega Santangelo. «Nel romanzo di Ende c’è il rifiuto delle conseguenze della società massificante e del totalitarismo soft che diventano il nuovo nemico nichilista da sconfiggere. Mantenere la libertà interiore diventa un valore da tutelare. Così si è trovata una nuova cornice culturale a un pensiero tipico della destra: il mondo assaltato dalla modernità alienante».
La Terra di Mezzo non è una mappa diretta della politica del mondo reale, e ogni tentativo di adattare i personaggi e le loro azioni a una specifica ideologia politica è una semplificazione. Meglio lasciar riposare Tolkien senza affibbiare etichette. Se proprio volessimo trovare un punto di contatto tra questo governo e le opere dello scrittore britannico potrebbe essere il tabù del denaro che non viene quasi mai speso nei racconti, ma solo accumulato. Il tesoro porta alla corruzione, che sia del drago Smaug o del mostro Balrog. Ma questo autunno la presidente del Consiglio non avrà problemi di tesori accumulati perché sembra che non bastino neanche i soldi per una corposa Legge di Bilancio.