«Il wow deve avere una sostanza, perché il dolce non si mangia per fame». E sostanza significa anche (e soprattutto) usare materie prime di grande qualità, trasformandole con rispetto e senza strafare. Il tempo delle estremizzazioni è passato: «Basta monoporzioni con quindici elementi o torte con diecimila inserti. Bisogna fare meno e bene, con raziocinio».
Anche i dolci piacioni possono essere concettuali, nel senso di ragionati, progettati in coerenza con il contesto in cui si opera e con le proprie capacità, così da scongiurare l’effetto “vorrei ma non posso”. Sono questi gli insegnamenti che Tommaso Foglia – talentuoso pastry chef nonché giudice di “Bake Off Italia” e “Cake Star” – si sta impegnando a comunicare con la sua attività di consulente e formatore, anche in qualità di membro dell’Accademia Maestri Pasticceri Italiani.
Il suo battesimo professionale risale al 2007, quando a soli diciassette anni si è ritrovato responsabile della piccola pasticceria del Ristorante Don Alfonso 1890. Dopo un mese e mezzo di stage ha colto al volo l’occasione di sostituire il suo responsabile (fermo a causa di un infortunio): sette tipologie di dessert per centoventi coperti al giorno non lo hanno spaventato, tanta era la voglia di farcela. Ed è proprio dalla famiglia Iaccarino che ha appreso il culto dell’accoglienza e l’attenzione per la materia prima, in un’epoca in cui la parola “eccellenza” non era abusata.
L’esperienza a Sant’Agata sui Due Golfi è stata la prima di un lungo percorso, che dopo una tappa al Ristorante Baby di Roma, e poi presso Le Sirenuse di Positano, lo ha ricondotto al Don Alfonso nel ruolo di chef pasticcere. E durante la pausa invernale ha preferito la formazione al riposo: come venticinquesimo pasticcere al Mamounia Palace Hotel di Marrakech ha appreso le tecniche di base di tutti i settori della pasticceria; nel ristorante del Whatley Manor in Inghilterra ha compreso l’importanza della concentrazione e del timing (complice la maniacalità dello chef, che appuntava su una lavagna l’orario di uscita di ogni portata); in Irlanda ha imparato ad azzardare, inserendo gli elementi vegetali che ancora oggi caratterizzano i suoi dessert.
«Io volevo crescere, e l’ho fatto anche a discapito delle relazioni, oltre che delle ore di sonno. Oggi i ragazzi non sono più disposti a farlo, sono più interessati al tempo libero che alla paga». E non è detto che sia sbagliato. Nel mondo tutto si è evoluto, anche le mentalità. «Ci lamentiamo di non trovare personale, ma ci siamo mai fatti la domanda: “E se cambiassimo metodo?”. Nelle mie consulenze consiglio spesso un giorno di chiusura in più, serve a guadagnare il relax del dipendente. I ragazzi vanno al mare insieme, si fanno la partita di calcetto, e quello più in difficoltà lo aiutano gli altri. Quando ero al Don Alfonso organizzavo le partite di notte, dopo ore e ore di servizio. Il piacere di stare insieme, bere la birra dopo la partita, ci ripagava di ogni sacrificio».
E dopo tanti anni lontano dai suoi affetti, anche Tommaso Foglia sente il bisogno di tornare a casa e recuperare il tempo perso, per non dover più vivere la sua famiglia attraverso un telefono. A metà ottobre aprirà un temporary shop a Nola, sua città natale, nell’attesa di inaugurare la sua pasticceria nel 2024. «Voglio partire dal mio paese per fare divulgazione del buono, con l’aiuto di altri amici dell’Accademia. Al Sud siamo abituati a mangiare tanti dolci, ma non sempre di qualità. E io sono convinto che la percezione della qualità ci sia. Il palato medio è cresciuto e questo è un buon momento per fare un po’ di “educazione”, ma senza andare a muso duro. Anche perché ormai sono il gigante buono».
E se educare alla qualità è una sfida costosa, lo è altrettanto potersela permettere. O forse è solo una questione di priorità? «Durante una delle mie consulenze in Venezuela, un ragazzo mi disse qualcosa che mi fece riflettere: “Hai un tetto sopra la testa? Hai da mangiare? Stai bene? Hai chi ti vuole bene? Allora non ti manca niente”». E allora la missione di Tommaso e di tutti i giovani pasticceri diventa quella di comunicare l’eccellenza, affinché poco alla volta possa salire di grado nella scala del valore e soppiantare un’abbondanza mediocre. Magari non potrà diventare un’abitudine per tutti i portafogli, ma che sia la scelta d’eccezione. Perché il detto “less is more” non è valido solo per i dessert.