Freddezze incrociateLa maggioranza Ursula esisterà anche senza di lei?

Von der Leyen non ha lasciato intuire nulla sulla sua intenzione di tornare alla guida dell’Ue. Il Ppe non la sostiene in modo compatto, a differenza di socialdemocratici e liberali che però sentono avvicinarsi le elezioni. Resta allora la domanda: «Presidente, ma… l’anno prossimo?»

La presidente della Commissione europea durante il discorso sullo Stato dell'Unione
(AP Photo/Jean-Francois Badias)

Strasburgo. Dicono che i sociologi siano quelli che, in un club di spogliarelli, guardano i clienti. Se è vero, allora per i giornalisti vale la stessa cosa: in un’aula dove si parla di futuro, di politica, di guerra, di avvenire dei popoli e delle nazioni, i giornalisti sono quelli che guardano le sopracciglia che si alzano, auscultano i colpi di tosse, e misurano le esitazioni nel tono della voce. E durante il discorso sullo Stato dell’Unione europea, le vere notizie, si nascondevano lì. Tra sopracciglia e colpi di tosse. In aula, mentre la presidente parlava, tutti si chiedevano (e probabilmente si chiederanno fino alla prossima estate): cosa vuole fare Ursula von der Leyen da grande? Così, mentre in aula la Presidente parlava del destino dell’Europa, l’aula e la sala stampa non si preoccupavano di altro che del personalissimo destino della Presidente: «Presidente, ma… l’anno prossimo?» L’anno prossimo non si sa.

Ursula von der Leyen, che in quattro anni il mestiere lo ha imparato gran bene, e che non è più la spaurita candidata mandata alla sbaraglio dal Consiglio di fronte a un Parlamento che non la voleva, ha parlato per quasi un’ora senza offrire nemmeno l’ombra di un appiglio o di un indizio ai cercatori di complotti e trame. Ha tenuto per sé il segreto di quali sono i suoi progetti. E soprattutto si è mossa con la cautela di chi sa che quest’aula non l’ha mai particolarmente amata e l’ha eletta con uno scarto men che minimo (nove voti appena), facendola sostenere da una maggioranza compatta, ma risicata.

In questo modo, se è vero come è vero che Ursula von der Leyen era poco o punto infastidita dalla latitanza dell’ala destra dell’emiciclo, i cui deputati sono rimasti vistosamente assenti per farle uno sfregio, è anche vero che sa di doversi guardare dalla freddezza che arriva dall’ala sinistra, quella che sino a ora le ha consentito di governare, peraltro con una certa incisività, l’Unione europea.

Il punto è che Ursula von der Leyen è un’esponente del Ppe. Ma il Ppe non la sostiene in modo compatto. Diciamo che ci sono due metà. Quella che tende più a destra (e che ha il suo leader in Manfred Weber) avrebbe fatto volentieri a meno della sua presidenza e, sinceramente, spera che questa non abbia nessuna replica.

L’altra, quella che tende più a sinistra (e che non si è ancora ripresa dall’uscita di scena di Angela Merkel), è sì nel fanclub di Ursula, ma da sola, evidentemente non ha le forze per reggerne l’azione. Serviva e serve (e soprattutto come potrebbe servire domani) una maggioranza ampia: la maggioranza Ursula appunto, quella con liberali e socialdemocratici.

Il problema però è che socialdemocratici e liberali sono in una fase di grande freddezza nei confronti della presidente che hanno sin qui sostenuto senza esitazione. Lo sono perché le elezioni si avvicinano per tutti, e servono politiche che si vedano, sentano, tocchino. E proprio ora Ursula von der Leyen sembra aver tirato il freno a mano.

A convincere pochissimo socialisti e liberali sono soprattutto due dossier: uno è la nomina del nuovo commissario al Clima Wopke Hoekstra, popolare (tendenza destra) destinato a prendere il posto del pasdaran socialista Frans Timmermans. Affidare una partita così cruciale (peraltro l’unica davvero spendibile in campagna elettorale) all’ex ministro delle finanze olandese è cosa che convince poco la sinistra della maggioranza, dal momento che Hoekstra non ha nessuna esperienza in fatto di clima e di ambiente.

L’altro tema sul quale la maggioranza scricchiola è la politica di gestione dell’immigrazione: secondo UVdL (la sigla con cui è conosciuta nella «bolla» di Bruxelles, ndr) il cui modello della gestione delle crisi dei migranti per il futuro dovrà essere quello degli accordi sulla Tunisia. Secondo liberali e socialisti, invece, gli accordi con i tunisini sono pessimi e non fanno altro che spostare il problema, affidando, per l’ennesima volta, la gestione del tema a governi opachi e scarsamente democratici.

E quindi, forse, la ragione per cui Ursula von der Leyen non ha nemmeno velatamente lasciato intuire nulla circa la sua intenzione di tornare alla guida dell’Ue, è che forse non lo sa neppure lei.

O meglio: forse, in cuor suo sa se vuole o no. Ma non sa se ce ne saranno le condizioni e se, pur in uno scenario in cui abbia i numeri, questi possano di nuovo tradursi in una vera maggioranza. Perché sa che, senza socialisti e liberali, con il suo nome non può andare da nessuna parte. E lo sa, perché, anche lei, come i giornalisti, guarda le sopracciglia che si alzano e i colpi di tosse.

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