Le nostre prigioniIl lavoro dei detenuti, la revisione del 41 bis e il coraggio di riformare il carcere

Il capo del dipartimento dell’amministrazione penitenziaria, Giovanni Russo, ha annunciato cambiamenti sostanziali nei penitenziari: dal reinserimento sociale alle misure alternative, fino alla riduzione del volontariato e all’abolizione delle pene incostituzionali

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Potrebbe essere una autentica rivoluzione, quella annunciata da Giovanni Russo, capo del dipartimento dell’amministrazione penitenziaria (Dap), al recente “Salone della Giustizia”. Il carcere, tra tasso di sovraffollamento esplosivo e suicidi dei ristretti, è nei pensieri di pochi, soprattutto tra i politici, e se non fosse per i Radicali e qualche meritoria associazione (L’altro diritto, Antigone), l’attenzione sarebbe ancora più bassa. Russo, che è capo del Dap dal gennaio di quest’anno, vuole revisionare il 41-bis, il cosiddetto carcere duro, e dare la possibilità ai detenuti di trovarsi un lavoro vero, in modo che il loro reinserimento sociale sia pieno e non soltanto di facciata. D’altronde, l’articolo 27 della Costituzione parla chiaro: «Le pene non possono consistere in trattamenti contrari al senso di umanità e devono tendere alla rieducazione del condannato».

Russo ha spiegato questa settimana che «nel giro di un anno sarò in grado di offrire a più della metà dei detenuti del nostro Paese un’attività lavorativa». Oggi solo poco più del trentuno per cento dei detenuti ne ha una. «Ho fatto un accordo con We Build, che è la più grande azienda multinazionale italiana di costruzione: ci hanno offerto venticinque mila posti di lavori. Ho accordi con Tim, Enel, con l’Asi di Caserta: hanno offerto migliaia di posti di lavoro per i nostri detenuti», ha aggiunto Russo. 

Insomma, dice a Linkiesta il filosofo del diritto Emilio Santoro, professore ordinario all’Università di Firenze: «Sarebbe una rivoluzione copernicana per il carcere italiano: c’è da apprezzare il coraggio ed è senz’altro un gran passo in avanti rispetto alle ultime gestioni del Dap. Smettiamola con questa baggianata dei lavori socialmente utili, cioè gratuiti, ai detenuti servono lavori veri». 

Il capo del Dap ha una grande fortuna, ed è bravo a sfruttarla: ci sono lavori che molte persone, soprattutto giovani, non vogliono più fare, quindi si cercano altri target, dai migranti ai detenuti. Sono persone che hanno bisogno di un reinserimento sociale e che per via di questa necessità garantiscono continuità e costanza al datore di lavoro. «In passato – aggiunge Santoro – c’era un’amministrazione penitenziaria che avviava convenzioni su convenzioni per lavori di cosiddetta pubblica utilità, quindi di volontariato; il nuovo capo del Dap invece va a cercare lavori veri». 

L’aspetto interessante è che lavori come quelli nell’edilizia non sono lavori che si possono fare in carcere. Si devono usare meccanismi come il lavoro esterno dei detenuti, ma poi possono stabilizzarsi solo grazie alle misure alternative, come la semilibertà, che consente il lavoro stabile all’esterno. In questo modo il carcere passa da essere il posto in cui si è totalmente reclusi al posto in cui i detenuti vanno a dormire dopo aver lavorato tutto il giorno fuori. 

«Avere un lavoro è fondamentale per il reinserimento sociale dei detenuti», dice ancora Santoro. «Se uno conosce la situazione del carcere sa che almeno un quarto dei detenuti ha il problema di dove dormire la notte. Che siano stranieri, tossicodipendenti o persone senza fissa dimora. Come diceva Alessandro Margara, autore della riforma dell’ordinamento penitenziario tra le più avanzate d’Europa, in carcere è il posto in cui si trovano i socialmente abbandonati. Per cui l’idea di lavorare fuori e tornare in carcere per dormire è importante».

Anche il passaggio di Russo sul 41-bis è coraggioso: «Stiamo rivedendo la circolare che regola il 41-bis. Sarà costituzionalmente ineccepibile», ha detto il capo del Dap. L’idea è quella di eliminare qualunque ipotesi di trattamento che in qualche modo sia inutilmente vessatorio. Evitare, quindi, rispetto agli altri detenuti, ogni distinzione, se non quelle che impediscono nella maniera più assoluta che questi detenuti speciali possano continuare a svolgere un’attività dannosa per la società intera. «Quindi il 41-bis rimarrà, ma sarà un nuovo 41bis». ha detto Russo.

Non sarà un’impresa senza ostacoli e le dichiarazioni del capo dipartimento sembrano mirate innanzitutto a commisurare le reazioni. In più, dice Santoro, «il messaggio culturale è importante: la Corte costituzionale ha consentito al Parlamento di tenere in vita per oltre due anni l’ergastolo ostativo per poi fare una finta riforma dopo che la Corte Edu lo ha dichiarato incostituzionale. Russo dopo meno di un anno ha già detto che eliminerà ogni aspetto punitivo e vessatorio del 41-bis, che dobbiamo archiviare definitivamente la dicitura di “carcere duro”, spiegando che rimarrà uno strumento di prevenzione ma che i detenuti sono tutti uguali». Che sia la volta buona per avere una piena applicazione dell’articolo 27 della Costituzione?

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