Greta Thunberg è tra le ventisei persone a essere stata arrestata mercoledì dalla polizia britannica dopo aver preso parte a una protesta a Londra contro l’evento Energy intelligence forum, che aveva tra gli ospiti gli amministratori delegati di Aramco dell’Arabia Saudita e Equinor della Norvegia. L’attivista svedese, rilasciata poi su cauzione, è stata accusata di disturbo della quiete pubblica e dovrà comparire davanti alla Corte dei magistrati di Westminster il 15 novembre.
Questo è solo l’ultimo arresto da parte della polizia britannica nei confronti degli attivisti climatici e ambientali. Solo pochi giorni prima, infatti, cinque manifestanti di Just stop oil erano stati arrestati e accusati di violazione di domicilio aggravata dopo aver interrotto un’esibizione di Les Miserables in un teatro del West End di Londra, con l’intento di protestare contro la decisione del governo di approvare centinaia di nuove licenze per l’esplorazione di giacimenti di gas e petrolio.
Nel Regno Unito non passa settimana senza che una storia di alto profilo su quella che viene definita “disobbedienza civile” – generalmente derivante dal movimento ambientalista – occupi le prime pagine di giornali e siti d’informazione.
Non a caso, il Paese ha alle spalle una lunga storia di proteste dirompenti. Il recente attivismo climatico ha infatti visto gruppi come Extinction rebellion e Insulate britain bloccare le strade, le autostrade e i ponti principali, e Just Stop Oil prendere di mira hotel di lusso, dipinti di fama internazionale e importanti eventi sportivi.
Ma invece che ascoltare le preoccupazioni dei suoi cittadini, il governo britannico ha fatto praticamente l’opposto, condannando ripetutamente i gruppi di protesta ambientalista e introducendo nuove legislazioni che conferiscono alla polizia ulteriori poteri per bloccare tali manifestazioni di dissenso (e affrontare ciò che ha definito le «tattiche di protesta guerrigliera» del movimento climatico).
Già il Police, Crime, Sentencing and Courts Act del 2022, un documento di trecento pagine, aveva notevolmente ampliato i poteri dello Stato per regolamentare manifestazioni di attivismo, vietando addirittura proteste non violente ma considerate troppo rumorose o distruttive. Ma l’inchiostro su queste pagine non era quasi del tutto asciugato quando il governo di Londra ha deciso di proporre una seconda legge anti-proteste, il Public order act.
Definito dal responsabile dei diritti umani delle Nazioni unite come «profondamente preoccupante», il Public order act lascia alla polizia poteri quasi draconiani per limitare i diritti fondamentali delle persone alla protesta pacifica, anche quando i manifestanti fanno del loro meglio per rispettare le nuove regole. Alcuni giorni dopo l’introduzione, la legislazione è infatti stata sfruttata per arrestare e detenere attivisti repubblicani semplicemente perché trasportavano cartelli di protesta contro l’incoronazione di re Carlo III.
«Il governo vuole metterci tutti a tacere», racconta a Linkiesta il canoista britannico – vincitore dell’oro olimpico nel 2012 – Etienne Stott, membro attivo del gruppo Extinction rebellion, arrestato l’anno scorso per essersi incollato a una cisterna Shell a Paddington, a ovest di Londra. L’ex atleta pone l’attenzione su come la legislazione sembra prendere di mira specificamente gli attivisti ambientali.
Per il Public order act, infatti, ostacolare e interferire con infrastrutture nazionali di trasporto – dalla strada agli aeroporti – con l’obiettivo di interrompere il traffico per attirare l’attenzione pubblica è un reato che può essere sanzionato con una multa illimitata e/o fino a dodici mesi di prigione. Anche la tattica del locking on, spesso usata dai manifestanti per (letteralmente) incollarsi a persone, oggetti o edifici è diventata un reato perseguibile penalmente per cui si rischiano fino a sei mesi in carcere.
«Le proteste sono una forma di comunicazione, tanto specifica quanto disperata, usata quando le solite forme di comunicazione con chi è al governo non funzionano più», ha dichiarato Stott, aggiungendo però che «è proprio per via dell’efficacia di tutte le proteste di questi ultimi anni, con il quale siamo riusciti a esporre questioni di giustizia climatica e di danno ambientale, che il governo ha sentito la necessità di imporre dei limiti. Man mano che la situazione diventa sempre più difficile, sempre più voci si levano in allarme, paura e urgenza. E il movimento climatico ha conquistato l’opinione pubblica in maniera schiacciante. Il governo si è sentito minacciato e questa nuova forma di repressione indica senza dubbio che tutte le nostre proteste sono state efficaci nel mettere la crisi climatica al centro dell’interesse nazionale».
Secondo i dati dell’Ufficio nazionale per le statistiche (Ons), l’ottantacinque per cento dei cittadini britannici dai 16 anni in su si è detto preoccupato per l’impatto che l’aumento delle temperature avrà sulle loro vite entro il 2030. Non solo: il cambiamento climatico è la seconda preoccupazione più grande per gli intervistati (settantaquattro per cento), preceduta solo dall’aumento del costo della vita (settantanove per cento).
Purtroppo, però, negli ultimi anni il Partito conservatore è diventato molto abile a sfruttare come armi queste questioni cruciali. Poco meno di un mese fa, nel tentativo di accaparrarsi qualche voto, il primo ministro Rischi Sunak aveva annunciato un ridimensionamento degli obiettivi ambientali del Paese, abbandonando o ritardando parti fondamentali della strategia climatica del suo governo e ingigantendo l’impatto economico della transizione ecologica (in un Paese che sta ancora soffrendo di un’inflazione alle stelle). L’obiettivo di Sunak è palese: creare forti divisioni attorno alle politiche ambientali.
Tuttavia, secondo Dave Timms, head of Political affairs presso l’organizzazione ambientalista Friends of the earth Uk, gli elettori britannici sono sempre più consapevoli della discrepanza tra l’urgenza di agire contro la crisi climatica e le azioni concrete dei politici. «Quello di Sunak è un governo morente, che sta annaspando e sta cercando di trovare questioni che sono deliberatamente divisive, anche se questo non sembra affatto ripagarlo in termini di voti e prospettiva elettorale».
«Una parte significativa del pubblico è assolutamente indignata dal fatto che il governo stia facendo passi indietro sui suoi obiettivi ambientali», racconta Timms a Linkiesta, specificando che «centinaia di migliaia di persone che sostengono Friends of the earth sono furiosi con i conservatori e pronti a scendere di nuovo in piazza». Secondo Timms, l’opinione pubblica riconosce che c’è un urgente bisogno di politiche specifiche per combattere la crisi ecoclimatica, «il problema però è capire se le azioni dei nostri leader politici si avvicinano al livello necessario per affrontare il problema e raggiungere gli obiettivi climatici imposti per legge».
Come ampiamente previsto, un importante rapporto delle Nazioni unite pubblicato il mese scorso ha confermato che il mondo non è attualmente vicino al raggiungimento degli obiettivi dell’accordo di Parigi del 2015, che mira a perseguire gli sforzi per limitare il riscaldamento globale a 1,5 gradi centigradi sopra i livelli preindustriali. Secondo il Climate change committee, l’organo indipendente istituito da Downing Street per le raccomandazioni in ambito climatico sarà ancora più difficile per il Regno Unito raggiungere l’obiettivo vincolante delle zero emissioni nette di gas serra entro il 2050.
«Le nostre proteste sono una sfida a un sistema politico incapace di rispondere alla crisi che ha davanti ai suoi occhi», ha commentato Stott. «Arresti come questi non ci scoraggeranno. Continueremo a lottare perché è l’unica cosa moralmente corretta da fare».