Il risultato delle elezioni parlamentari in Lussemburgo apre a nuovi scenari politici nella piccola (e prospera) nazione europea. La coalizione di governo uscente, formata dal Partito socialdemocratico, dal Partito democratico che esprime il premier Xavier Bettel e dai Verdi, non ha raggiunto la maggioranza assoluta dei seggi, fermandosi a ventinove scranni, e difficilmente potrà essere riproposta.
A pesare è stato il collasso dei Verdi, che in cinque anni hanno visto quasi dimezzarsi il proprio bacino e si sono fermati poco sopra l’8,7 per cento dei voti, perdendo cinque seggi su nove. La buona prestazione dei Socialdemocratici (18,8 per cento dei consensi e undici seggi) e dei Democratici (18,6 per cento dei voti e quattordici seggi), cresciuti di un punto rispetto alle consultazioni del 2018, non ha compensato del tutto quanto perso dagli ecologisti.
Al primo posto, come avvenuto in tutte le elezioni svoltesi dal Dopoguerra a oggi, si è piazzato il Partito cristiano democratico con il 29,1 per cento dei voti e ventuno seggi. I centristi, che hanno governato il Lussemburgo con i Socialdemocratici per quarantatré anni e hanno espresso premier come Jean Claude Juncker, sono esclusi dal governo dal lontano 2013 e puntano ad un ritorno.
Lo scenario più probabile, secondo quanto riportato dal Guardian, è proprio quello di un’alleanza tra i centristi e socialisti oppure democratici. I sovranisti moderati del partito di Alternativa democratica-riformista (Adr) ottengono sei seggi, due in più delle ultime elezioni; mentre i Pirati raggiungono i quattro scranni e la sinistra radicale si ferma ad appena uno scranno.
I temi più importanti della campagna elettorale sono stati l’economia, la situazione abitativa e le condizioni lavorative degli abitanti del piccolo Granducato. Il Partito democratico ha puntato tutto sui successi ottenuti al governo e sulla figura di Bettel, di gran lunga il politico più popolare del Lussemburgo.
Il movimento, schierato su posizioni liberali, ha promesso una riforma fiscale, si oppone a un aumento delle tasse per le aziende, è contrario a una riduzione della settimana lavorativa a trentasei ore e aperto a collaborare con tutti salvo l’Adr e della sinistra radicale.
I Socialdemocratici, guidati dalla carismatica vice-premier Pauline Lennert, intendono arginare la speculazione immobiliare che ha fatto crescere i prezzi delle case nel Paese, vogliono una no-tax area per i redditi più bassi e intendono introdurre due nuovi scaglioni fiscali per chi guadagna di più.
I Cristiano Democratici, capeggiati dall’ex ministro della Giustizia e delle Finanze Luc Frieden, hanno invece promesso più sicurezza nel Paese, sgravi fiscali per i giovani lavoratori, riforme nel settore sanitario ed edilizio e più potere d’acquisto per gli abitanti del Granducato. Tra le proposte più curiose spiccano quelle dell’Adr, che intende abolire l’attuale modello ad alta crescita economica del Lussemburgo e sostituirlo con un modello di «crescita moderata» e dei Pirati, intenzionati ad abolire tutti gli scaglioni fiscali.
Meno della metà della popolazione (duecentoquarantamila abitanti su seicentomila) del Lussemburgo ha potuto prendere parte al voto perché la nazione, polo finanziario europeo per eccellenza, attira molti lavoratori dall’estero che non ottengono, poi, la cittadinanza. Si tratta di una situazione particolare, e quasi unica in Europa.
Le elezioni parlamentari hanno comunque confermato la forza dei partiti politici moderati e il mancato radicamento delle forze estremiste, tanto di destra quanto di sinistra, nella piccola roccaforte della stabilità assoluta europea. L’Adr, che in sede comunitaria aderisce all’Alleanza dei Conservatori e Riformisti (Ecr) di Diritto e Giustizia e Fratelli d’Italia, è considerato il partito politico più radicale del Paese.
Per lo storico Lucien Bleu, intervistato dall’emittente locale Rtl, «la fortuna del Lussemburgo non è quella di avere cittadini più aperti e accoglienti (rispetto alla media europea) ma quella di poter contare su un modello economico che funziona bene e che non ha sperimentato crisi come in Francia e Germania».
Bleu ricorda come «ci sono sacche di povertà e problemi in Lussemburgo ma non sono così esacerbati come nelle nazioni vicine» e queste condizioni «impediscono alle ideologie di destra radicale di attecchire» pur non dimenticando che «i Lussemburghesi non sono immuni alla xenofobia».
Bleu ha infine chiarito come «i temi esposti dall’Adr, come l’opposizione a una maggiore integrazione europea, la decadenza dei valori, la pericolosità dell’immigrazione e dei rifugiati caratterizzino il partito come un movimento di destra radicale».
La tesi di Bleu diverge da quanto dichiarato a Politico da Philippe Poiriet, professore di Scienze Politiche all’Università del Lussemburgo, secondo cui c’è «una crescente polarizzazione» però «i partiti come l’Adr ed i Pirati non sono estremisti di destra e di sinistra anche se criticano il funzionamento del sistema».
L’esito delle elezioni, a differenza di quanto accaduto con le recenti consultazioni slovacche, non è destinato a cambiare la posizione del Lussemburgo nei confronti di Bruxelles e della guerra in Ucraina. Tutti i principali partiti sono infatti europeisti e atlantisti. La formazione del prossimo governo avrà, però, ricadute sulla scelta del prossimo commissario europeo espresso dal Paese.
Qualora i Socialisti vengano esclusi dal prossimo esecutivo, ricorda Politico, è improbabile che l’attuale commissario per il Lavoro e i Diritti Sociali Nicolas Schmit venga confermato per un secondo mandato. La scelta potrebbe ricadere su Bettel, qualora i Cristiano-democratici riescano a detronizzarlo e a formare il prossimo esecutivo senza i Democratici.