Stanno mollando l’Ucraina, i nostri governanti? Forse dirla così è troppo brutale. Però sta succedendo qualcosa, in particolare dalle parti di Fratelli d’Italia, il partito della presidente del Consiglio e del ministro della Difesa. Ieri una dichiarazione di Guido Crosetto a SkyTg24 nell’ambito delle celebrazioni “Sky 20 anni” è suonata abbastanza grave: «Bisogna lavorare al sostegno dell’Ucraina e allo stesso tempo bisogna lavorare per una soluzione pacifica». E fin qui nulla di nuovo. Ma poi ha aggiunto di non credere «che l’Ucraina riuscirà a riconquistare i territori persi o la Russia ad avanzare», una frase che detta da uno studioso può anche essere interessante ma che pronunciata dal ministro della Difesa fa sorgere spontanea una domanda: il governo italiano ritiene davvero che l’Ucraina sia sostanzialmente impantanata e che pertanto «non riuscirà a riconquistare i territori persi», che è esattamente la scommessa di Zelensky?
Può darsi che si tratti di puro realismo ma Crosetto ha delle buone ragioni per concludere che la situazione è di fatto bloccata? E se è così, quali potrebbero essere le conseguenze pratiche? Sono domande inquietanti ma legittime. Che probabilmente non avranno fatto piacere a Kyjiv. Ma il ministro si è spinto fino a ipotizzare che «la prossima primavera possa essere il periodo in cui, esaurite da entrambe le parti le armi per cercare di imprimere una svolta da una parte e dall’altra, si possa aprire un tentativo di dialogo», cioè indica una strada diversa da quella seguita dai soldati ucraini.
Da notare che è la seconda volta in pochi giorni che il titolare della Difesa, vicinissimo a Giorgia Meloni, appare un po’ freddo sugli impegni militari del nostro Paese, forse anche infastidito da una (presunta) perdita di ruolo nelle decisioni. In questo senso Linkiesta ha spiegato bene i termini del dissidio tra Crosetto e il ministro degli Esteri Antonio Tajani a proposito dell’ottavo invio di armamenti che era stato irritualmente annunciato da quest’ultimo, cosa che aveva infastidito non poco il ministro della Difesa che ieri ha chiarito che «è allo studio», un modo cortese per dire che Tajani, come si dice a Roma, si è allargato.
L’episodio è stato un po’ sottovalutato ma invece evidenzia un contrasto nel governo non da poco che peraltro si innesta su una situazione nella quale il sostegno militare a Kyjiv sta svuotando gli arsenali della nostra Difesa, un altro elemento che innervosisce il ministro. Ma la cosa potrebbe essere molto più seria e andare al di là del temperamento di Crosetto.
Il fatto è che i più recenti sondaggi indicano inequivocabilmente che gli italiani vivono con sempre crescente fastidio la guerra ucraina e l’impegno italiano. Meloni sente questo clima e non a caso non parla mai, se non nei consessi internazionali e dunque lontano dai tinelli e dai bar ove si raccolgono gli elettori, della guerra di Putin.
Dal report di Swg di pochi giorni fa emerge che il fronte contrario alla fornitura del sostegno militare crescerebbe dal trentadue per cento al trentanove per cento, e aumenta soprattutto l’area di coloro che vorrebbero subito una trattativa di pace stante la stagnazione sul terreno (che è esattamente il nesso tra le due frasi pronunciate da Crosetto). Gli italiani in questa fase hanno altre preoccupazioni, soprattutto l’economia, i prezzi, le tasse: e spendiamo un sacco di soldi per una guerra che non va avanti né indietro?
Meloni e i suoi sanno benissimo che il senso comune del Paese è questo e con tutti i problemi che hanno non intendono certo forzare su un impegno militare che gli italiani capiscono sempre meno. D’altronde non guidano il Paese, tendono a esserne guidati, nella qual cosa viene meno la principale ragione della politica.
E infine, e probabilmente sono gli aspetti più importanti, ci possono essere due ragioni di politica internazionale che spingono il governo, soprattutto Fratelli d’Italia, perché Tajani ancora regge, a togliere il piede dall’acceleratore: la ripresa forte di Donald Trump sulla scena americana e mondiale e un certo ritorno di fiamma di alcuni esponenti di FdI (non certo Crosetto, beninteso) mai davvero nemici di Vladimir Putin.
La destra italiana detesta Joe Biden, che la presidente del Consiglio è costretta ad ascoltare e seguire, da ultimo nella telefonata di due giorni fa organizzata dal presidente americano con tutti i leader dell’Alleanza, ma che certo non preferisce a Trump, di fatto tuttora il leader della destra mondiale. A Meloni è stata rimproverata da alcuni dei suoi la foto mano nella mano con il capo della Casa Bianca scattata in India, come abbiamo scritto qui quando lei scelse di disertare il ricevimento offerto da Biden a New York (la famosa sera della pizzeria).
Insomma, lentamente ma nemmeno troppo, Fratelli d’Italia sta spostando il governo italiano su posizioni molto meno partecipate, diciamo così, relativamente al sostegno alla Resistenza ucraina. E sarebbe davvero la sconfessione più clamorosa della svolta filoatlantica di Giorgia, peraltro nel solco di Viktor Orbán e Robert Fico, se Roma incrinasse la convinzione del fronte pro-Kyjiv.
Non siamo ancora al rompete le righe ma qualcosa nella destra italiana sta succedendo. Sarebbe opportuno discuterne in Parlamento, anche perché dall’altra parte per fortuna regge Elly Schlein che pure si muove dentro una sinistra strapiena di putiniani: «Sull’invio di armi la posizione del Partito democratico è sempre stata lineare e non è cambiata», ha detto ieri sempre a SkyTg24. «Noi continuiamo a sostenere il popolo ucraino e accanto a questo chiediamo all’Europa uno sforzo politico e diplomatico per arrivare a una pace giusta che sta all’Ucraina a stabilire a quali condizioni». Un punto fermo da parte del Pd, proprio mentre il governo mostra preoccupanti segni di cedimento, per un pugno di voti.