Una grande bandiera palestinese è apparsa l’altro giorno su uno dei palazzoni di Scampia, le famose Vele che tutti hanno visto nella serie “Gomorra”. È il segno che i poveri, gli abitanti delle periferie, i giovani disoccupati stanno con Hamas, o comunque capiscono le ragioni di Hamas (che essi confondono con quelle dei palestinesi, ma questo è un altro discorso)? Esiste cioè una sociologia in grado di mappare il consenso politico e sociale ai palestinesi? Non sappiamo se ci siano analisi di questo tipo ma a occhio, sì, i diseredati di Scampia o di una banlieue parigina odiano Israele, lo Stato degli ebrei ricchi che opprime il non-Stato dei palestinesi poveri.
La radice di questo antisemitismo sociale sta qui. Lo ha scritto in un bellissimo articolo sul Corriere della Sera Paolo Giordano: «Se confronto il dibattito di queste ore con quelli attorno agli atti terroristi del 2016, mi sembra che assomigliamo a una società più esacerbata, molto più incline a identificarsi nei radicalismi (…) Sarà che è proprio questo il risultato a medio termine dell’estremismo: indurre, anche a distanza, altro estremismo, creando un campo magnetico. Polarizzare l’aria tutto intorno per migliaia di chilometri».
Ecco, il «campo magnetico» è quello che abbraccia «per migliaia di chilometri» un arco enorme fatto di odio per chi è riuscito a creare uno Stato e farne un Paese ricco: è una forma psico-politica di invidia elevata al massimo livello che si innesta sul cervello malato dell’antisemita descritto da Jean Paul Sartre: «Distruttore per funzione, sadico dal cuore puro, l’antisemita è nel più profondo del suo cuore un criminale. Ciò che desidera, cioè che prepara è la morte (in corsivo, ndr) dell’ebreo».
Se il punto torna a essere tragicamente questo, la distruzione di Israele, ha ragione Simona Bonfante su HuffPost: «Cinque secondi dopo aver provato, davvero o solo simulato, pena per i bambini seviziati nei loro lettini, i bambini uccisi davanti alle loro madri, i bambini stuprati, intere famiglie bruciate vive dai terroristi fondamentalisti di Hamas, la “brava gente” in tutto il mondo è scesa nella piazza fisica o digitale, per sostenere la campagna di criminalizzazione dell’ebreo – il trend del momento».
In effetti dopo l’emozione enorme post 7 ottobre e le immagini del rave e dei bambini massacrati da Hamas, la risacca anti-israeliana si è alzata prestissimo, complici ovviamente le tonnellate di bombe sganciate sulla Striscia di Gaza simbolo per tanti osservatori di «vendetta», «ritorsione», «rappresaglia», invertendo così i ruoli del copione e dimenticando che la guerra non è stata scatenata dallo Stato ebraico. Dando credito alla propaganda jihadista sul razzo che ha colpito l’ospedale a Gaza.
Ma lasciando qui stare le polemiche di tipo televisivo, dove va molto di moda esecrare il prendere posizione in omaggio a una «complessità» che diventa schermo per non schierarsi – il tipico nicodemismo degli intellettuali – torniamo al punto di fondo: l’odio per Israele, che non è alla fine compatibile con la sua sussistenza, scaturisce da un fatto ideologico e sociale, verrebbe da dire di classe se l’espressione marxista avesse tuttora un senso, da un dato di natura, per dirla con Rousseau, e in questo senso nell’epoca della nuova grande crisi economica e morale veicolata dalla società della tecnologia e dell’informazione, assume caratteri di massa molto di più di quanto si possa ritenere.
È un odio «per l’ebreo come incarnazione del male, dello spirito perfido e predatorio del peggiore capitalismo», come ha scritto Massimo Recalcati aggiungendovi il fattore del deicidio, l’elemento che da sempre caratterizza l’ostilità dei cattolici verso Israele – e vediamo in questi giorni gli eloquenti silenzi, o quasi, dei cattolici di sinistra, quelli che assommano due ragioni diverse di antiebraismo.
E appunto il discorso qui non può non cadere sulla sinistra. C’è quella di Jean-Luc Mélenchon, di Jeremy Corbyn e degli extraparlamentari, più ti sposti a sinistra e più antisemitismo trovi. Vale anche per la sinistra italiana, divisa tra gruppettari-Manifesto-Sinistra italiana e in parte anche sinistra del Partito democratico da una parte e la maggioranza dello stesso Pd dall’altra. È al primo gruppo che si riferisce Furio Colombo, sul Foglio, quando dice che «su Israele la sinistra sta commettendo lo stesso tragico errore che commise con le Brigate rosse» e ha ragione se si riferisce a quell’area grigia «né né» che imperversa nei talk show visti soprattutto in quei salotti (ogni riferimento a Lili Gruber è voluto) dove alligna l’estremismo Ztl.
In questa fase, nel Pd sembra essere intervenuta una distinzione di compiti, alla sinistra interna l’enfasi sul salario minimo e le questioni sociali e silenzio su Israele, alla destra (diciamo così per capirci) la politica estera.
Elly Schlein sta in entrambe le squadre ma ha il grande merito di aver collocato il Pd dalla parte giusta, con Kijiv e con Tel Aviv. Ma sotto la cenere, dove c’è la famosa base, arde il fuoco ostile a Israele. È un popolo portato al manicheismo di scuola comunista (e cattolica), il Bene contro il Male, i proletari contro i padroni, dunque i palestinesi contro gli ebrei.
Ma in definitiva hanno ragione da vendere David Grossman e gli intellettuali israeliani che hanno scritto un bellissimo documento pubblicato da Linkiesta laddove osservano che «coloro che si rifiutano di condannare le azioni di Hamas provocano un danno immenso alla prospettiva che la pace diventi un’opzione politica praticabile e rilevante. Indeboliscono la capacità della sinistra di offrire un orizzonte sociale e politico positivo, trasformandola in una forza politica estrema, ottusa e alienante». Ecco perché la sinistra, in ogni angolo del pianeta, deve schierarsi. Sfidando Scampia.