AutogolIl rinvio del salario minimo non aiuta il governo e rafforza le opposizioni

La proposta di legge è ancora viva e prima o poi tornerà di attualità. L’esecutivo avrebbe potuto bocciarla e porre fine a questa storia, invece adesso dà un ottimo argomento politico ai suoi avversari (in particolare al Pd di Schlein)

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Il salario minimo è tornato nei cassetti del Parlamento e la destra pensa di essere stata molto astuta. La scusa per motivare il rinvio in Commissione, in pratica un insabbiamento, è stata quella di «approfondire» il parere del Cnel, un’evidente bubbola che ha comunque consentito una maggioranza. Favorevole al rinvio seppure solo di ventuno voti di scarto.

In ogni caso la legge è viva e prima o poi tornerà in campo: dunque quello della maggioranza non è un gesto risolutivo e il rinvio sine die consegna all’opposizione un forte strumento di iniziativa e di propaganda ancora per mesi e mesi, fino alla campagna elettorale delle Europee.

Il fantasma del salario minimo è dunque destinato a turbare i sonni del governo per molto tempo. Un’altra strada c’era: bocciare la legge di Pd-M5s-Azione-Più Europa, punto e basta. Sarebbe costata un po’ di dolore, come un dente che si strappa, ma poi non se ne parla più. Non hanno avuto questo coraggio. Il rinvio, tattica vecchia come il mondo, non risolve il problema politico di una legge che ha una sua presa popolare, come testimonia il mezzo milione di firme raccolte a sostegno, e soprattutto è l’unico mastice a tenere unite le opposizioni, tranne Italia Viva che non ha mai condiviso la via della legge e che adesso osserva con disincanto il nulla di fatto che in qualche modo aveva previsto.

Per questo la richiesta del ritorno della legge in commissione, che tradotto significa metterla in stand by fino a nuovo ordine, configura una tattica debole che non solo non risolve il problema politico di una legge “fastidiosa” ma attirerà lo stesso le critiche, a essere blandi, di coloro che accusano il governo di essere contro milioni di persone sottopagate.

Certo è che la tattica dilatoria della maggioranza non fa altro che esacerbare i rapporti con l’opposizione – con Elly Schlein e Giuseppe Conte, ma anche Azione – scatenati in aula con discorsi di fuoco in una seduta molto molto nervosa: e ci permettiamo di dire che pur comprendendo le normali leggi della dialettica politica forse in questo momento così drammatico per il mondo questo plateale scontro tra maggioranza e opposizione non appare esattamente un balsamo.

Però è inutile girarci attorno, il governo si è impuntato nel non voler accettare una qualunque soluzione a un problema reale, quella del lavoro povero e sottopagato, e forse non sbagliamo se diciamo che questo incaponimento è tipico di Giorgia Meloni che non ha voluto legittimare in alcun modo una proposta delle opposizioni – e segnatamente del Partito democratico della “rivale” Schlein.

Già la mossa di mettere il dossier nelle mani di Renato Brunetta era sospetta, ma quando poi il Cnel si è eretto a tribunale emettendo una “sentenza” contraria al salario minimo è apparso chiaro che era stato utilizzato come uno strumento per mandare tutto a ramengo.

E tuttavia, come detto, ieri a Montecitorio la maggioranza non ha trovato il coraggio per chiudere la vicenda ma soltanto di rinviarla a data da destinarsi. Ora Elly Schlein, che non deve farsi scippare questa battaglia dal furbo Conte, ha un forte argomento polemico tra le mani, tra la petizione che continua e l’avvicinarsi della manifestazione dell’11 novembre. Meloni ha rinsaldato le opposizioni, ha radicalizzato lo scontro, non lo ha affatto vinto. Contrariamente alle apparenze, il governo non ne esce bene.

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