Da una parte, il governo russo formalmente deplora l’esplosione di violenza tra Hamas e Israele, e il ministro degli Esteri Sergey Lavrov reitera la richiesta dei «due popoli, due Stati» per arrivare alla pace. Un pio proposito alla cui luce andrebbe interpretato l’annunciato viaggio di Abu Mazen a Mosca. Già però l’offerta di Ramzan Kadyrov di fornire una forza di interposizione cecena risulta un po’ meno bilanciata, visto che è condita da considerazioni negative su Israele e prese di posizione pro-palestinesi. E a marzo era peraltro andata a Mosca anche una delegazione di Hamas.
Se dunque ufficialmente Mosca gioca con entrambi i contendenti, Volodymyr Zelensky nel suo discorso alla nazione di lunedì – oltre a accostare idealmente l’attacco russo all’Ucraina con quello di Hamas a Israele – ha apertamente accusato Mosca di avere appoggiato l’Operazione «Alluvione Al-Aqsa», attraverso i suoi contatti con Teheran. Dice infatti di essere in possesso di informazioni molto chiare secondo cui la Russia è interessata a provocare una guerra in Medio Oriente. «Vediamo i propagandisti russi esultare. Vediamo gli amici iraniani di Mosca sostenere apertamente coloro che hanno attaccato Israele». La Russia è stata anche accusata di aver fornito hacker per aiutare a disattivare i sistemi di allarme lungo il confine, e di rilanciare con i suoi troll la propaganda pro Hamas.
Come osserva Politico, è un vero e proprio «regalo di Hamas a Vladimir Putin», per cui «la Russia sta approfittando – e in parte alimentando – il caos in una serie di focolai globali che distolgono le energie dell’Occidente dall’Ucraina». Una serie di diversivi con cui cerca di guadagnare tempo in attesa che la volontà dell’Occidente sia spezzata da un qualche evento – tipo un ritorno di Donald Trump alla Casa Bianca – mentre l’esercito è impantanato in un dissanguante conflitto di posizione stile Grande Guerra, e la marina è stata addirittura costretta a ripiegare per le durissime perdite subite a opera di un avversario che non ha neanche una propria vera e propria flotta.
Ma la preoccupazione maggiore resta l’economia. Più vivace che mai il dibattuto sull’effettivo impatto delle sanzioni, nel momento in cui il New York Times ricorda l’ammissione fatta dallo stesso Putin a settembre, secondo cui quasi un terzo della spesa russa per il prossimo anno dovrà essere dedicata alla «difesa nazionale». Circa centonove miliardi di dollari. È vero che l’economia ha retto meglio di quanto non si aspettassero le previsioni più pessimistiche, ma è sempre più strutturata attorno alla guerra, anche se formalmente non è stata neanche dichiarata, e si continua invece a parlare di «operazione militare speciale». Più del sei per cento della produzione totale della nazione viene così incanalata verso la produzione militare: oltre il doppio di quanto era prima dell’invasione.
«Da quando la Russia ha inviato soldati oltre confine nel febbraio 2022, la sua economia ha dovuto adattarsi a cambiamenti drammatici con una velocità sorprendente», osserva il New York Times. «L’Unione europea, il suo principale partner commerciale, ha rapidamente interrotto le relazioni economiche, sconvolgendo catene di approvvigionamento consolidate e fonti affidabili di reddito dall’estero. Gli Stati Uniti hanno usato la loro potenza finanziaria per congelare centinaia di miliardi di dollari in asset russi e isolare il Paese dal sistema finanziario globale».
Mosca ha risposto trovando altri acquirenti per il suo petrolio, pompando denaro nell’economia a un ritmo rapido per finanziare la sua macchina militare, inserendo quasi tutti i lavoratori disponibili in un lavoro, aumentando le dimensioni degli stipendi settimanali. La produzione totale, che secondo le stime della Banca Centrale russa potrebbe aumentare fino al 2,5 per cento quest’anno, supererebbe così quella dell’Unione europea e forse anche degli Stati Uniti.
Il Nyt cita però Laura Solanko, consulente senior presso l’Istituto per le economie in transizione della Banca di Finlandia, per ricordare che «quando un Paese è in guerra, il prodotto interno lordo è una misura piuttosto scarsa del benessere», e che la produzione di proiettili aumenta il tasso di crescita di un Paese senza necessariamente migliorare la qualità della vita. Sia per pagare beni importanti che come investimento sicuro è cresciuta al parossismo la domanda di valuta estera, facendo crollare il rublo a un ritmo vertiginoso fino ad arrivare sotto la quota simbolica di cento per un dollaro. L’impennata della spesa pubblica e dei prestiti ha messo seriamente a dura prova un’economia già surriscaldata, e la banca centrale durante l’estate ha dovuto rapidamente aumentare i tassi di interesse al tredici per cento durante l’estate, mentre l’inflazione annuale continuava a salire. «Tassi più alti, che rendono più costoso per le imprese espandersi e per i consumatori acquistare a credito, rallenteranno probabilmente la crescita», è la previsione del New York Times.
Per alleviare le carenze e rallentare l’aumento dei prezzi dell’energia il mese scorso il governo ha imposto un divieto temporaneo alle esportazioni di diesel e benzina, ma le restrizioni hanno ulteriormente ridotto la quantità di valuta estera in entrata nel paese. E l’esodo di fondi è così preoccupante che il governo ha messo in guardia dal ripristinare i controlli sul denaro in uscita dal Paese. Con le elezioni presidenziali previste per marzo, Vladimir Putin ha riconosciuto che l’accelerazione dell’inflazione alimentata dall’indebolimento del rublo era una delle principali cause di preoccupazione.
E il New York Times cita anche Charles Lichfield, vicedirettore del Centro di geoeconomia dell’Atlantic Council, per ricordare che «standard di vita più bassi possono essere scomodi anche per un governo autoritario». La Russia importa una vasta gamma di beni: dai telefoni e lavatrici, dalle automobili a medicine e caffè. Un rublo svalutato rende dunque più difficile per i consumatori acquistare ciò che sono abituati a comprare. Insomma, la Russia può cedere. Ma se Hamas distrae l’Occidente in un momento cruciale, può avere una opportunità.