Ogni 8 marzo, i giornali italiani sono imbarazzanti. Ogni 8 marzo, ogni quotidiano, anche quelli che normalmente hanno una donna in prima pagina solo se c’è da stigmatizzare qualche notizia di stupro, ha una sleppa di donne che in prima pagina ci spiegano l’essere donne, la rilevanza politica dell’essere donne, i problemi sociali dell’essere donne, il donnismo delle donne.
Per cosa ha preso il Nobel per l’Economia ieri Claudia Goldin, prima donna titolare di cattedra di Economia a Harvard, prima donna a ricevere un Nobel per l’Economia non in condivisione con uno studioso dotato di gameti maschili? Per averci spiegato le donne in quanto donne.
Le donne che lavoravano molto quando si trattava di lavorare nei campi, poi meno con la rivoluzione industriale, poi di più con l’industria dei servizi (ma tu pensa: più centraliniste che in fonderia, chi l’avrebbe mai creduto). Le donne che quando fanno figli poi finisce che fanno meno carriera. Le donne. Dududù.
Quando la mia amica S. mi disse «ma è giusto così» avevo, credo, poco più di trent’anni. Stavo dicendole una cosa che normalmente dico solo in privato, ma oggi puntando al Nobel ho deciso di svelarla in pubblico: io una donna non la assumerei mai.
Lo dicevo vedendo quelle come S., che lavoravano nelle riviste di moda, fatte quasi interamente da donne, che mandavano in stampa con la mano sinistra didascalie sgrammaticate mentre con la destra governavano le priorità da organizzare: il bambino da andare a prendere a nuoto, la bambina con la torta di compleanno da ordinare.
S. mi disse che sì, anche lei, come tutte, alla prima telefonata dell’asilo in cui le si diceva che il piccino aveva male a un’unghia, mollava lì le pagine da chiudere e correva a fare la mamma premurosa. Ma era giusto così. Mica tutti i lavori hanno bisogno di dedizione.
Mi chiedo da quasi vent’anni chi decida. La cardiochirurga molla lì l’intervento per un malumore del marito? Forse no, forse quella della cardiochirurga è unanimemente considerata una carriera degna di dedizione. Ma sotto quella soglia, dalla cardiochirurgia in giù, con che criteri si decide? E, soprattutto: chi decide?
L’operaia della fabbrica di tondini non fa nulla in mancanza di cui si fermi il mondo, ma quindi ha il diritto di piantare lì la catena di montaggio se il pupo è di malumore? Se il proprietario della fabbrica di tondini le dice che deve restare fino alla fine dell’orario di lavoro, ella se ne andrà comunque, giacché si sa che non tutti i lavori sono degni di dedizione? Se il proprietario della fabbrica avesse saputo, avrebbe mai assunto una donna?
Sì, Vongola75 che mi stai scrivendo indignata che l’operaia che si assenti ingiustificatamente in orario di lavoro riceverà una lettera di richiamo, lo so, era un’iperbole, sono consapevole della maggior disinvoltura delle direzioni del personale dei giornali, e anche delle responsabilità delle riviste femminili.
(Nasce prima la sfaccendatezza o la gallina? I femminili sono diventati luoghi in cui dire alle donne che tutte le loro lagnanze sono fondate perché vengono fatti da donne convinte che le loro lagnanze e le loro assenze da moccio pomeridiano siano sacrosante, e le lettrici si adeguano ai privilegi di lavoratrici che vivono come massaie; oppure la redattrice cerca disperatamente d’imitare la lettrice per assecondarla e non perdere copie? E, se lo scopro, finalmente mi danno quei novecentocinquantamila euro di Nobel? Nel caso, preciso che li spenderei in profumi, identificandomi come sempre nella madre degenere che per la sua piccina non comprava mai balocchi).
Nello sceneggiato che maggiormente mi ha formata, il presidente degli Stati Uniti è un premio Nobel per l’Economia, sebbene maschio. Il suo più fidato collaboratore, in una riunione, liquida una previsione sul deficit (o qualcosa del genere) riportando che il presidente dice sempre che gli economisti sono stati messi su questa terra per far sembrare affidabili gli astrologi.
È possibile che il Nobel alla Goldin non premi analisi più elementari di quelle premiate ogni anno, solo che di solito non lo notiamo perché gli altri Nobel non ci parlano di S. e delle sue mezze giornate lavorative pagate come intere (Goldin è americana, un paese a vocazione meno postofissista zalonista, dove se sparisci tutti i pomeriggi probabilmente ti costringono a firmare un part-time, con conseguente riduzione di stipendio).
L’ultimo paper di Goldin, appena pubblicato, s’intitola “Why women won”, e racconta come quasi la metà degli eventi imprescindibili dell’emancipazione femminile sia avvenuta tra il 1963 e il 1973. Quando, cioè, aveva tra i venti e i trent’anni la generazione delle madri mia e di S. e delle adulte di oggi. Quelle che erano nate durante una guerra mondiale, quando le donne italiane non avevano neppure diritto di voto, e si sono sbattute per tutto.
Qualunque cosa possano fare oggi le donne – abortire, divorziare, persino aprirsi un conto in banca senza il permesso del padre o del marito – è un diritto che è stato ottenuto dall’ultima generazione che si è dovuta sbattere per i diritti.
Noi ci siamo trovate la pappa pronta, e quelle dopo di noi ancora di più. Il risultato è che per le trentenni di oggi una carriera non è una conquista: è un fardello che impedisce loro di passare sei mesi a scegliere le bomboniere e i canapé (scelte per le quali si mettono in aspettativa, salvo poi dire che fanno lavori molto impegnativi e hanno il burnout).
Non ho letto “Why women won”, ma lo farò solo se promette di spiegarmi come siamo finite a regredire più indietro degli anni Cinquanta del secolo scorso. Come siamo finite così.
Con generazioni di sfaccendate che se mettono i panni in lavatrice cianciano di «carico del lavoro di cura», se non figliano è perché nessuno dà loro abbastanza incentivi e agevolazioni e si sa che è impossibile avere un unico figlio stando otto ore al giorno in ufficio, e invece di ambire a traguardi professionali vanno da un usuraio per potersi permettere un servizio posato in abito da sposa.
Se Goldin non mi spiega in modo convincente come ci siamo ridotte a rinnegare l’emancipazione e sognare il velo e il bouquet e le foto di famiglia come le nostre nonne (che però avevano l’attenuante di non avere molte alternative), quel Nobel devono ritirarglielo. E darlo a me, per la dirompente teoria «mai assumere una donna».