Una spanna sopraLa rassicurante ed esclusiva prima collezione di Phoebe Philo

Nessun terremoto stilistico: l’ex direttrice creativa di Céline e Chloe torna con la collezione che ci aspettavamo, ma non quella di cui avevamo bisogno

© Phoebe Philo (via New York Times)

Finalmente, l’attesa è finita: la prima collezione di Phoebe Philo, la A1, è arrivata. Per ora sugli schermi dei computer, solo online, senza nessuna sfilata fisica. Il suo ritorno, atteso come quello del Messia (Phoebe Philo ha lasciato la direzione creativa di Céline nel 2017, per poi scomparire dai radar), ha ovviamente infiammato gli entusiasmi dei fan e della critica di settore, mandando già sold out diversi pezzi. Una collezione eponima, prodotta in volumi minimali per questioni di sostenibilità ambientale con Lvmh come socio di minoranza, che si inserisce perfettamente nel solco del lavoro della designer inglese.

La rielaborazione del guardaroba maschile con una sublime sartorialità applicata, gli accessori over nei volumi ma minimali nell’appeal, i dettagli apparentemente innocui e che poi si trasformano, in realtà – in un sottile invito erotico – costituiscono l’ABC del suo vocabolario estetico negli anni alla guida della maison francese. In questo caso i pantaloni in lana a vita alta hanno una zip che, partendo dal retro, arriva sino alle creste iliache (le ossa che costituiscono il pube), e che è ovviamente possibile abbassare, a seconda delle situazioni. 

A costituire il cuore della collezione sono però i grandi classici: il cappotto in cashmere con doppio taglio sul retro, i top asimmetrici in seta, vestiti in pelle nera con profondi scolli sul retro, completi maschili e rari eccessi, come il montone bianco latte da tredicimila euro. Una collezione che, come sostiene giustamente Rachel Tashjian sul Washington Post, ha l’indubbio merito di glorificare la vita dopo i quaranta (le modelle che la indossano hanno i segni del tempo portati orgogliosamente sul viso). 

Questo armadio è per una donna sicura di sé, a cui non interessa mostrare il logo – che, tra l’altro, è minuscolo, in perfetto stile Phoebe Philo – perché non ha bisogno di essere validata da un nome che non sia il suo. E se sono over quaranta, è anche perché la donna che può permettersi l’acquisto di questi pezzi, costosi anche per gli standard del lusso (la tote bag costa seimilaottocento euro, i pantaloni con le frange tremilaottocento) è una donna con un portafoglio che ha da molto superato l’adolescenza. 

Una philophile – come si chiamavano tra loro le vestali del culto di Phoebe Philo – che è cresciuta, e ci tiene a ricordare a se stessa, e alle poche altre che riconosceranno quei vestiti, il fatto di fare ancora parte di una enclave segretissima, il cui accesso è garantito non solo dal potere d’acquisto, ma anche da un certo senso di superiorità intellettuale sulle masse. 

Il problema è che dal 2017 persino le masse sono diventate fluenti con il linguaggio di Phoebe Philo, che è stato diffuso, annacquato o evoluto in forme diverse ma simili, da tutti i suoi alunni, che nel frattempo sono divenuti direttori creativi delle maison.

Peter Do (Helmut Lang); Daniel Lee (con Bottega Veneta prima e con Burberry oggi); Mathieu Blazy (Bottega Veneta); The Row ha tra le sue “consulenti” più rilevanti Veronica Leoni, che si è fatta le ossa al fianco di Phoebe Philo, e ancora prima di Jil Sander. Persino il fast fashion ha recepito il messaggio e lo ha sviluppato nel rispetto delle sue limitate possibilità, con un esempio su tutti: COS. 

Ciò che dieci anni fa era a tutti gli effetti una rivoluzione, sia a livello di costruzione dei capi che di immagine (Daria Werbowy scattata da Juergen Teller con luci giallognole per nulla donanti, e priva di make up), oggi è la norma. Infatti, come da previsioni, la modella feticcio di Phoebe Philo è presente nelle immagini: ancora senza trucco, con i capelli dall’effetto bagnato legati indietro, leggermente invecchiata ma ancora di una bellezza superba. 

© Phoebe Philo

Più che dal desiderio di compiere una necessaria evoluzione come designer, entrando nella fase successiva della sua carriera con un brand che porta il suo nome, sembra qui evidente il desiderio di ribadire una sorta di primigenia, ricordando al mondo della moda che se è diventato quello di oggi, nelle sue forme più alte, lo si deve principalmente a lei. Un enunciato (implicito) con il quale non si può in alcun modo dissentire, ma che non fa compiere al sistema nessuna evoluzione, né lo libera dall’acquitrino di nostalgia nel quale si è impantanato ormai da un paio di anni. 

Un business model intelligente, che usa certe dinamiche dello streetwear e le ritorce suo favore: la scarcity in questo caso (la produzione di pezzi in maniera limitata) è reale, e non solo predicata, come succede nello streetwear, dove l’obiettivo finale è incitare all’acquisto compulsivo di beni che sono disponibili in quantità maggiori di quanto dichiarato. «Il nostro scopo è creare un prodotto che riflette la permanenza», si legge nelle dichiarazioni ufficiali (Phoebe Philo non ha concesso alcuna intervista per presentare la collezione). «Il business model è progettato per creare un equilibrio responsabile tra la richiesta e la produzione. Per noi, questo vuol dire produrre molto meno della richiesta anticipata», continua. 

Dopo questa prima selezione dei centocinquanta pezzi (che saranno distillati in diverse e imprevedibili tranche durante la stagione), la A2 arriverà in primavera – non è dato sapere quando – e i pezzi saranno acquistabili solo sul sito online. Di conseguenza, non sarà possibile provarli, anche se in questo caso i resi sono inclusi nel prezzo ed eseguiti in due settimane. A differenza di quanto accade, ancora, con lo streetwear e le sue dinamiche di marketing, con drop acquistati da persone che non hanno interesse a indossarli ma solo a rivenderli a prezzi maggiorati, ogni acquirente può comprare solo un pezzo (seppure in taglie differenti), e si è abbastanza certi che lo indosserà nella vita reale, per la quale questi vestiti sono fatti. 

Phoebe Philo, infine, è tornata: l’eroina del lusso intellettuale ci ha dato quello che ci aspettavamo, e desideravamo, ma sfortunatamente non è più tempo per terremoti stilistici che cambiano il corso dell’estetica collettiva. Ce ne ha già regalato uno in passato, chiederle altro sarebbe troppo. E, probabilmente, non spetta neanche più a lei. Ci faremo bastare dei completi sublimemente realizzati, dei cappotti in montone dai volumi over e dei pantaloni a sigaretta, memento tessile intriso di nostalgia di tempi ormai lontani, e che ci scalderanno in questo lungo inverno del pensiero creativo, privo di coraggio, colmo di banalità rassicuranti. Phoebe è ancora una spanna sopra tutti loro. E questa collezione ha il solo scopo di ricordarcelo.

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