Ottovolante diplomaticoNei rapporti con l’Iran, l’Europa deve decidere cosa fare da grande

Le relazioni dei Ventisette con Teheran hanno vissuto fasi alterne dall’accordo sul nucleare in poi, spesso influenzate dall’atteggiamento degli Stati Uniti. Ora potrebbe essere arrivato un nuovo minimo, che spinge l’Ue a riconsiderare la sua postura

Borrell durante una visita in Iran del giugno 2022
Borrell durante la visita in Iran del giugno 2022 (foto Aref Taherkenareh/Commissione europea)

«Il rapporto dell’Europa con l’Iran non è mai stato così negativo», ha sentenziato Foreign Policy qualche tempo fa, senza fare troppi giri di parole. Una riflessione che può essere articolata su molteplici piani, primo tra tutti l’accordo per il nucleare iraniano, da sempre il convitato di pietra di questo dossier.

Firmato nel 2015 dall’Iran e da altre potenze mondiali, tra cui gli Stati Uniti, l’accordo ha posto restrizioni significative al programma nucleare iraniano in cambio di un alleggerimento delle sanzioni. Trump ha ritirato gli Stati Uniti dall’accordo nel 2018, sostenendo che l’intesa avrebbe fallito nel limitare il programma missilistico e l’influenza regionale dell’Iran.

Scambio di prigionieri
Al centro dei negoziati ci sono stati i cinque membri permanenti del Consiglio di sicurezza delle Nazioni unite (Cina, Francia, Russia, Regno Unito e Usa) e la Germania, con la partecipazione anche dell’Unione europea. L’Ue ha svolto un ruolo centrale nelle trattative che hanno portato all’accordo, aprendo la strada ai colloqui: diffidando di Washington, Teheran ha preteso un contesto multilaterale per i negoziati.

Una posizione di spicco per Bruxelles e il blocco franco-tedesco, con la difficoltà però di inserirsi in uno scenario molto intricato, soprattutto per via dell’altalena nei rapporti tra iraniani e americani, testimoniata anche da quanto accaduto nelle ultime settimane.

Ad agosto l’Iran e gli Stati Uniti hanno concordato un piccolo coup de théâtre, uno scambio di prigionieri con lo scongelamento di sei miliardi di dollari di beni iraniani. L’accordo si è concretizzato in un rilascio dei prigionieri che ha fatto il giro del mondo, riaprendo il dibattito sui rapporti di Teheran con l’Occidente.

Secondo gli esperti, è stato un passo avanti verso una riduzione delle tensioni, ma non indica necessariamente un imminente disgelo. Alex Vatanka, direttore del programma Iran presso il think tank Middle East Institute di Washington, ha definito lo scambio di prigionieri un «accordo transazionale», lasciando poco spazio per un futuro riavvicinamento. Il presidente Joe Biden ha più volte promesso di rilanciare l’accordo nucleare iraniano, ma la svolta sembra ancora lontana.

Dalle giravolte alla guerra in Ucraina
Per tutte queste ragioni, non sorprende la situazione di stallo che vive l’Europa, per cui resta particolarmente difficile confrontarsi con Teheran. In particolare, le relazioni dell’Iran con Bruxelles hanno conosciuto innumerevoli alti e bassi, soprattutto negli ultimi anni. I rapporti erano sostanzialmente migliorati dopo la conclusione dell’accordo sul nucleare: per quanto diverse questioni abbiano sempre turbato le parti, gli scambi tra l’Europa e l’Iran a livello politico, economico e civile erano aumentati e migliorati.

L’influenza europea sull’élite e sulla società iraniana è però diminuita significativamente dopo che Teheran ha constatato l’incapacità europea di influenzare Trump o di agire indipendentemente dalla campagna di «massima pressione» degli Stati Uniti contro l’Iran, guidata dal biondo tycoon. A causa di questi fattori, la maggior parte degli iraniani ha visto l’Europa come un attore globale indebolito che non può né incentivare né penalizzare l’Iran in modo significativo.

Le relazioni si sono inasprite nella seconda metà del 2022, includendo altri dossier estranei al nucleare e ai voltagabbana di Trump: la guerra in Ucraina e le rivolte di parte della popolazione iraniana. Lo scorso anno, gli Stati Uniti hanno reso noto che Teheran avrebbe sostenuto Putin in Ucraina, soprattutto attraverso la fornitura di centinaia di veicoli aerei.

Gli iraniani starebbero anche collaborando con Mosca per produrre droni direttamente sul territorio russo. A novembre 2022, la presidente della Commissione europea Ursula von der Leyen ha ammonito che «mentre lavoriamo per impedire all’Iran di sviluppare armi nucleari, dobbiamo anche concentrarci su altre forme di proliferazione di armi, dai droni ai missili balistici. È un rischio per la sicurezza».

La reazione europea e le sanzioni
Le proteste interne contro il governo, scatenate dalla morte di Mahsa Amini e dal movimento «Donna, Vita, Libertà», hanno ulteriormente inasprito la posizione dell’Occidente nei mesi successivi. L’Ue ha anche segnalato trentadue persone e due entità per violazioni dei diritti umani. Il Parlamento europeo ha adottato diverse risoluzioni critiche nei confronti delle violazioni dei diritti umani in Iran, anche nel 2023, e ha chiesto che il Corpo delle guardie rivoluzionarie islamiche venga considerato come terrorista dall’Unione.

A seguire, c’è il fattore geopolitico: l’Iran continua ad alimentare tensioni in Medio Oriente, fornendo sostegno militare, finanziario e politico ad attori non statali in Paesi come l’Iraq, il Libano, la Siria e lo Yemen, nonché nella Striscia di Gaza.

Si legge in un paper del centro studi del Parlamento europeo che «l’Iran e i suoi proxy in Yemen, Iraq, Libano e Siria hanno il potere di destabilizzare seriamente l’Asia occidentale; c’è la possibilità che l’intera regione venga coinvolta in un eventuale confronto militare tra l’Iran e gli Stati Uniti o Israele. Qualsiasi escalation potrebbe potenzialmente innescare una nuova crisi dei rifugiati, con enormi implicazioni per l’Europa».

In risposta a queste preoccupazioni, l’Ue ha imposto sempre più sanzioni, come il congelamento dei beni e il divieto di mettere fondi e risorse economiche a disposizione di persone ed entità controverse.

Il tentativo di Borell
Nonostante questo, l’Europa ha cercato di costruire dei ponti – attraverso colloqui informali con l’Iran – che mirano a ripristinare una qualche forma di accordo nucleare. C’è la volontà da parte di alcuni funzionari, come l’Alto rappresentante europeo Josep Borrell, di mantenere viva la diplomazia nucleare con l’Iran il più a lungo possibile.

L’amministrazione Biden non sembra condividere la stessa urgenza: uno sviluppo curioso dato che lo stesso Biden si è opposto con forza alla campagna di massima pressione dell’amministrazione Trump e si è impegnato per un ritorno all’accordo. Il rilancio dell’intesa sul nucleare è però insostenibile in questa fase, soprattutto con l’incombere delle elezioni statunitensi nel novembre 2024.

Cosa farà l’Europa? La polvere sotto il tappeto inizia ad essere veramente troppa. La guerra in Ucraina non sembra vicina alla fine e a ottobre scade l’embargo Onu sui missili iraniani. Da quel momento in poi Teheran sarà di nuovo autorizzata a esportare missili balistici a corto raggio: il destinatario privilegiato possiamo facilmente intuirlo, e non è una buona notizia né per l’Ucraina né per l’Occidente.

Come ha scritto Carnegie Europe, «l’Iran, da tempo orgoglioso della sua posizione unica tra Est e Ovest, sia geograficamente che politicamente, sembra ora aver scelto da che parte stare. Se l’accordo nucleare ha rappresentato un’opportunità per l’Iran di aprirsi all’Europa e, possibilmente, agli Stati Uniti, otto anni dopo il Paese è chiaramente orientato verso Est, o meglio, verso il non-Ovest».

Per Bruxelles, gestire le relazioni con Teheran diventa quasi una questione esistenziale: quale ruolo vuole giocare l’Europa nell’agone globale? Continuare a stare alla finestra sui dossier più caldi? Lasciare spazio a nuove e rampanti potenze nel Golfo e nel Pacifico? Dilemmi che ciclicamente si ripropongono sui tavoli della diplomazia europea.

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