L’altra viaLe vittorie del centro in Europa e la lezione politica che l’Italia non impara mai

Il successo di Donald Tusk in Polonia e le ottime prospettive di Keir Starmer nel Regno Unito fanno rimpiangere l’assenza di una proposta riformista e moderata nel nostro Paese: da noi, al massimo, queste forze politiche si limitano a condizionare uno degli attori principali del bipolarismo

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Sul voto polacco ha ragione Alessio De Giorgi, che sul Riformista di ieri ha scritto che «si vince al centro». Aggiungendo: «Straordinaria è l’affermazione della “Terza Via”, il raggruppamento centrista guidato da un partito che aderisce a Renew Europe: sono loro ad assicurare la maggioranza al futuro governo di Tusk con un ottimo quattordici per cento».

Potremmo aggiungere che in Gran Bretagna si annuncia una vittoria del laburista ultra-blairiano Keir Starmer. Il problema è che in Italia non c’è un Donald Tusk né uno Starmer, cosicché a fronteggiare la destra di Giorgia Meloni e l’ultra-destra di Matteo Salvini c’è questo Partito democratico di sinistra e il populismo di Giuseppe Conte, vale a dire, sic stantibus rebus, una polizza sulla vita del governo.

Da Varsavia e verosimilmente da Londra dunque giungono e giungeranno le famose “lezioni” che tuttavia in Italia non sembrano copiabili: sono scritte davvero in altre lingue. La questione, che si trascina ormai da anni, investe i partiti e i raggruppamenti che si autocollocano al centro del quadro politico: Azione, Italia Viva, Più Europa, l’associazione Per, i Libdem europei e altri. C’è da dire che a tutt’oggi Carlo Calenda, Matteo Renzi, Riccardo Magi, Elena Bonetti, Andrea Marcucci e i vari esponenti di queste sigle non sono riusciti a spiegare in che modo un centro possa crescere e diventare forte nel nostro Paese, cioè si capisce la ragione di fondo del loro impegno – costruire un’alternativa riformista al bipolarismo, che loro definiscono populista, fondato sostanzialmente su Fratelli d’Italia, Movimento 5 stelle e Partito democratico nel nome della visione europeista e atlantista di Mario Draghi e di una politica più pragmatica e meno ideologica – ma non sembra ancora essere chiaro il “come” farlo.

Un’idea c’era. La prospettiva di un Terzo Polo che assumesse il volto di un partito unico per quanto difficile era chiara ma dopo la sua implosione nulla è venuto in campo per delineare una nuova proposta. Ed è soprattutto per questo che a stare ai sondaggi nessuno dei partiti citati sembra in grado di sganciarsi dai piccoli numeri cui da mesi sono inchiodati.

Ogni giorno che passa è un giorno perso tra le polemicucce tra loro e la cieca fiducia in sé stessi. È vero che ci si sforza di fare proposte concrete, per esempio sulla sanità, ma tutto diventa vano se continua a mancare una proposta definita, un’offerta politica chiara. Così nel campo della politica continuano a giocare la squadra di Giorgia Meloni e quella di Elly Schlein, con incursioni piratesche di Salvini e Conte – al quale si corre il rischio di regalare una centralità preziosa, in grado di spostare gli equilibri nel caso, ora remotissimo, che il Partito democracito diventi competitivo.

È forte l’impressione che i gruppi dirigenti dei tre partiti di centro, Azione, Italia Viva e Più Europa, invece di immaginare una nuovo campo, continuino a coltivare i rispettivi orticelli rinviando sine die una discussione di fondo sul dove vogliono andare.

A farla breve, il punto, infatti, è esattamente questo. Essendo manifestamente impossibile creare un centro egemone, al massimo esso potrà condizionare – anche in modo decisivo – l’uno o l’altro degli attori politici principali. La decisione da prendere, si perdoni la semplicità, è quale dei due si vuole scegliere. Il fatto che alle Europee si voterà con il proporzionale è un alibi per non sciogliere il nodo e che non rende attrattiva una prospettiva che non si capisce. Finché non si accende il motore delle scelte strategiche, le ruote del centro non gireranno mai. Altro che Tusk e Starmer.

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