L’articolo 1 dello Statuto dei Lavoratori garantisce ai dipendenti il diritto di manifestare liberamente il proprio pensiero sul luogo di lavoro. Questo diritto deve essere bilanciato con il dovere di fedeltà previsto dall’articolo 2105 del codice civile, ai sensi del quale i dipendenti non possono ledere la reputazione del datore di lavoro o comunque recare pregiudizio all’azienda. Il diritto di critica deve quindi manifestarsi entro dei limiti che sono stati più volte oggetto di analisi da parte dei Tribunali italiani.
La parola chiave per valutare la legittimità dell’esercizio del diritto di critica è continenza. In particolare le critiche formulate dai lavoratori nei confronti dell’azienda devono essere veritiere – secondo il principio della continenza sostanziale – e devono essere esternate con modalità espressive moderate, rispettando il principio della continenza formale. Di conseguenza i limiti del diritto di critica devono intendersi travalicati quando il dipendente contesta all’azienda dei fatti riprovevoli che non sono mai avvenuti o quando utilizza dei termini particolarmente volgari o infamanti nei confronti del datore di lavoro.
I Tribunali italiani considerano ormai da tempo i social network come un luogo in cui è possibile esercitare il diritto di critica nei confronti del datore di lavoro. Un post sui social contenente critiche false o toni eccessivi può quindi costituire una valida ragione per intimare il licenziamento per giusta causa a un dipendente. Fanno eccezione i messaggi inviati tramite chat o all’interno di gruppi chiusi che sono tutelati dal principio di inviolabilità della corrispondenza previsto dall’articolo 15 della Costituzione.
In questi tempi dove tutti comunicano sui social network con una certa disinvoltura può essere utile sapere come tenersi alla larga da un procedimento disciplinare. Questa newsletter, nel suo piccolo, prova a fare la sua parte. Prego, non c’è di che.
*La newsletter “Labour Weekly. Una pillola di lavoro una volta alla settimana” è prodotta dallo studio legale Laward e curata dall’avvocato Alessio Amorelli. Linkiesta ne pubblica i contenuti ogni. Qui per iscriversi