«Le guerre stanno indebolendo la propensione ad avere figli: tutti i rapporti che abbiamo lo dicono. E questo riguarda i giovani italiani, spagnoli, tedeschi: la visione positiva del futuro, già molto provata, viene ulteriormente minata, e condiziona le decisioni più impegnative e responsabilizzanti, come è quella di costruire una famiglia». Così in una intervista a La Stampa, il professore ordinario di Demografia all’Università Cattolica di Milano, Alessandro Rosina, spiega le ragioni del preoccupante calo delle nascite.
Una rilevante inversione di tendenza rispetto ai decenni passati in cui si assisteva di solito a una ripresa dei matrimoni e delle nascite dopo un grande trauma. L’esempio più vivido è ciò che accadde dopo la seconda guerra mondiale quando per circa venti anni nacquero tantissimi bambini in Occidente. Quella esplosione demografica che durò dal 1946 al 1964 fu la cosiddetta stagione dei baby boomer. «Oggi è molto diverso: formare una famiglia non è più scontato e, anzi, è una scelta molto debole, riflettuta, indagata. E il rischio è quindi che, dopo le ferite della guerra, anziché ripartire di slancio, i Paesi che l’hanno subita si ritrovino a fronteggiare un andamento demografico indebolito, e in sofferenza cronica», spiega Rosina. «Le condizioni che in passato consentivano di recuperare un declino demografico dopo una guerra, oggi si ripropongono assai più faticosamente. Così un Paese si ritrova a fare i conti con una fragilità persistente dal punto di vista demografico».
Come ricorda oggi un articolo de Linkiesta sul problema demografico che sta affrontando l’Ucraina, anche Rosina fa capire che per Kyjiv il momento è difficile: un paese già di bassa natalità è stato stravolto dall’invasione russa che ha portato a deportazioni forzate, soprattutto di bambini, e un imponente esodo di rifugiati verso l’Europa occidentale.
Per Rosina mancano la sicurezza economia e la garanzia del benessere inteso come un tenore di vita che tenda alla felicità. Due condizioni imprescindibili in Occidente per pensare di metter su famiglia: «Se ci confrontiamo con Paesi come Francia e Svezia, la sensibilità rispetto al cambiamento climatico pesa su tutti e riduce la natalità. In Italia, dove ci sono condizioni oggettivamente peggiori per fare una famiglia, quella sensibilità ha un peso maggiore. La fecondità è bassa tanto in Italia quanto in Francia, ma in Italia è dell’ 1,2 figli per donna, in Francia dell’ 1,8. Quella differenza è legata a condizioni oggettive e carenza di politiche pubbliche adeguate».
Una tendenza che rischia di colpire anche le persone migrate in Italia dall’estero che si scontrano con le stesse difficoltà dei giovani italiani con il problema aggravante di non potersi appoggiare alla propria rete familiare. Nonostante questo, la fecondità delle italiane è 1,2: quella delle straniere di 1,9».