Gli altri islamofascistiHezbollah non aprirà un nuovo fronte di guerra a nord di Israele (per ora)

Il discorso di Hassan Nasrallah ha portato buone notizie per lo Stato ebraico, dal momento che non c’è stata, come si temeva, la proclamazione di una Jihad. Sulla decisione hanno pesato le difficili condizioni economiche e sociali del Libano

AP/Lapresse

Buone notizie dal Libano per Israele – pare – nel discorso tenuto ieri dal leader di Hezbollah Hassan Nasrallah. Molti, gli Stati Uniti in testa, temevano che avrebbe aperto un fronte di guerra a nord di Israele incitando all’attacco della «entità sionista» le sue milizie – centomila armati, un esercito, decine di migliaia di missili – costringendo così Gerusalemme combattere su due fronti contemporaneamente con uno sforzo bellico enorme. Ma così non è stato.

Nasrallah, infatti, ha infarcito il suo discorso della abituale retorica antisionista e antiamericana, ha salutato i propri martiri – sessanta suoi miliziani sono caduti dall’ottobre ottobre a oggi – così come quelli di Hamas, ma non ha pronunciato una sola frase che potesse evocare, neanche indirettamente, la proclamazione di una Jihad contro Israele.

È apparso così chiaro che ha parlato più come leader libanese che come strumento – quale è, anche – della politica iraniana. Ha insomma grandemente pesato sulla sua posizione la convinzione che il Libano oggi non può sopportare l’apertura di una guerra con Gerusalemme, con probabile invasione via terra da parte di colonne di carri armati e soprattutto con incessanti e martellanti bombardamenti aerei. Il tutto con la potente flotta americana al largo delle coste del Libano pronta a dare manforte, nel caso, all’alleato israeliano.

Ha pesato insomma sulla sua posizione di fatto moderata, la condizione di un Libano che è di suo allo stremo delle forze con la popolazione letteralmente a terra. L’inflazione è all’ottantacinque per cento, le riserve auree della banca centrale sono praticamente esaurite, l’elettricità viene distribuita solo un’ora al giorno, gli strati popolari, tra questi gli sciiti, base popolare di Nasrallah, sono sull’orlo della fame. Persino i pochi che hanno depositi in banca, in lira libanese o in dollari, non possono ritirarli per pagarsi i normali beni di consumo. E di questa situazione fallimentare sempre più libanesi addossano giustamente la responsabilità maggiore proprio ad Hezbollah.

Non solo, i cristiani e i sunniti, timorosi di un colpo di testa bellico di Hezbollah, stanno riarmando le loro milizie che avevano disarmato decenni fa.

Certo, Nasrallah non ha dato nessun segno di volere dismettere la guerra d’attrito a bassa intensità che ha iniziato ai confini nord di Israele dopo il 7 ottobre. Quindi, vi saranno altri lanci di missili contro le truppe israeliane e i kibbutz e questo impegnerà Idf, le forze di difesa israeliane, a un massiccio presidio del territorio – distogliendo reparti che potrebbero essere impiegati a Gaza – e a continuare i raid aerei contro le postazioni di partenza dei missili. Ma, lo ripetiamo, a meno di sorprese clamorose, Israele non dovrà affrontare, per il momento un fronte nord di guerra guerreggiata.

Al di là dell’abituale retorica e dell’esaltazione del pogrom di Hamas del 7 ottobre, che a suo dire ha mostrato la debolezza di Israele e ha posto la questione palestinese al centro degli interessi del mondo, Nasrallah ha tenuto a precisare che Hezbollah non vi ha minimamente partecipato nella fase di preparazione e tantomeno di esecuzione. Ha attribuito il merito della sconcia impresa solo e unicamente ad Hamas, «che ha agito da solo». Un modo obliquo per scaricare anche le responsabilità dell’Iran al cui comando Hezbollah anche formalmente risponde.

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