Non è che il tema del rispetto del diritto umanitario, nelle operazioni militari di Israele a Gaza, sia da considerarsi subordinato alle ragioni della legittima difesa dello Stato ebraico e degli ebrei. Come dicono gli studiatissimi “equidistantisti” che oggi fanno scuola di galateo bellico a Israele – e ovviamente solo a Israele – non esistono diritti tiranni, destinati a prevalere sugli altri in virtù di un rango superiore.
Il fatto è che però esistono retoriche tiranne, a cui sono subordinate tutte le riflessioni e azioni in tema di diritti ai quattro angoli del mondo e che, come diceva Marco Pannella, rendono visibile e invocabile il diritto dei palestinesi – e oggi dei palestinesi di Gaza – solo quando incrociano una pallottola israeliana.
Il diritto di un arabo palestinese ricoverato in un ospedale di Gaza e usato come scudo umano da Hamas, che piazza sotto il suo letto, esattamente sotto il suo letto, parte del proprio arsenale militare, per renderne mediaticamente fruttifera la morte, è uguale al diritto dell’ebreo palestinese che di quell’arsenale è il bersaglio. Però quello dell’arabo è un diritto di cui rileva l’esistenza solo quando Israele è costretto a cercare sotto il suo letto, esattamente sotto il suo letto, l’arsenale destinato alla carneficina degli ebrei, non quando sono i carcerieri palestinesi, con residenza e conto in banca a Doha, a votare il carcerato palestinese a questo fatale destino.
In ogni caso, a non essere uguale è la catena di responsabilità delle parti in causa e in conflitto, che, da una parte, ha portato a degradare il diritto alla vita degli arabi palestinesi a quello di “non morire” oggi, ma piuttosto domani, a maggior gloria della Jihād nella necrofila corvée umanitaria che è loro imposta dai tagliagole di Hamas e che, dall’altra parte, continua a consentire agli ebrei palestinesi di esigere un diritto pieno e pienamente umano di riconoscimento delle libertà fondamentali (a partire da quella di sbarazzarsi democraticamente del governo dell’eterno Benjamin Netanyahu e dal suo corteggio di impresentabili lepenisti ebraici).
Tutt’altro che uguale è poi la concreta possibilità degli arabi e degli ebrei di Palestina di scampare al destino che è stato per entrambi apprestato dai pupari del terrore. Il riconosciuto diritto alla libertà rende più sicuro e esigibile anche il diritto alla vita.
Il problema di Gaza non è iniziato l’8 ottobre scorso, è iniziato nel 2007, quando Hamas ha buttato fuori a cannonate Fatah, anzi nel 2005 quando con il ritiro unilaterale israeliano è iniziato l’effetto domino che è arrivato fin qui.
Il problema è continuato quando si è fatto in modo o si è comunque consentito che Gaza venisse trasformata in una bomba umana di dolore e di violenza e sotto di essa venisse scavata una Gaza sotterranea, in cui i macellai di Hamas potessero dettare i tempi e il racconto delle macellazioni islamiste.
Il problema è diventato politicamente irrisolvibile e mediaticamente tossico quando in Europa e in Occidente si è elevato questo crimine umanitario, che è l’esistenza stessa di Gaza nelle mani di Hamas, a trincea della resistenza ai crimini degli occupanti, cioè di Israele, che però a Gaza non occupa più nulla dal 2005.
La retorica tiranna sul colonialismo israeliano è quella che rende tutte le parole contro i diritti tiranni delle digressioni complici o pilatesche rispetto alla responsabilità politica di una soluzione che, non solo per gli israeliani, ma anche per i palestinesi, non può decentemente essere lo status quo di Gaza com’è e come l’abbiamo lasciata diventare.
Se la retorica tiranna sfigura la verità sull’occupazione di Gaza, continuando ad addebitarla a Israele, o riconosce Hamas come, se non legittima, inevitabile rappresentante della resistenza ad essa – si legga sul punto l’incredibile appello di oltre centocinquanta docenti dell’Università di Bologna – i diritti dei palestinesi continueranno a valere non come obiettivi politici, ma come semplici capi di imputazione sulla natura criminale dello Stato ebraico.