Pasticciaccio forteLe assurdità della riforma meloniana costringeranno Renzi ad abbandonarla

Il “Melonum” è un pastrocchio che delegittima il Presidente della Repubblica. Il leader di Italia Viva si è riservato un ruolo costruttivo, ma al referendum Meloni-Mattarella non potrà che votare in un solo modo

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La mole di opinioni demolitorie della proposta di legge costituzionale sul premierato, la “madre di tutte le riforme”, è davvero enorme. Opinioni di giuristi e politici anche di destra (Marcello Pera) che si saldano con osservazioni di puro buonsenso di cui, per ora, citeremo solo quella che appare come la più evidente e sconvolgente: con il “Melonum” avremmo un capo del governo più forte del capo dello Stato. Il che, oltre a produrre un sistema evidentemente sbilenco che non c’entra niente col presidenzialismo, potrebbe portare con un alto tasso di probabilità alle dimissioni di Sergio Mattarella, giacché egli potrebbe considerarsi in qualche modo delegittimato da una riforma che lo vedesse in posizione sotto ordinata rispetto al premier.

Allo stesso modo, una bocciatura al referendum confermativo della riforma causerebbe inevitabili dimissioni di Giorgia Meloni – lei volente o nolente –, perché ne uscirebbe politicamente troppo indebolita.

Pertanto uno solo dei due resterebbe in campo: sarebbe (sarà?) un match tra Mattarella e Meloni. Se le cose stanno così, come potrebbe Matteo Renzi appoggiare il “Melonum”, cioè una riforma che va contro quel presidente della Repubblica proprio da Renzi voluto e a favore di quella premier che egli osteggia?

Il leader di Italia Viva in realtà sta già mettendo le mani avanti pur riservandosi un ruolo costruttivo. Soprattutto perché non fatica a scovare nel progetto Meloni-Casellati una serie di bizzarrie che non potrebbe avallare, e infatti spera in correzioni alquanto vistose nel lungo iter parlamentare che si profila: «Dipende da che testo verrà fuori», ha detto al Corriere della Sera che gli chiedeva se voterà la riforma. Che è già una cosa diversa dall’iniziale sì senza tanti fronzoli che aveva annunciato quando Meloni cambiò l’iniziale progetto sull’elezione del presidente della Repubblica nel premierato.

L’assenso di Renzi era nel nome dell’amato “sindaco d’Italia”. Però il “Melonum” è abbastanza diverso da quel modello: tanto per dirne una, il sindaco non è costretto a cedere la poltrona a un altro se viene cacciato, è noto che se cade lui cade anche il consiglio comunale. Lo stesso Renzi già diversi giorni fa aveva chiarito che non ci devono essere «pasticci»: e qui più che pasticci ci sono marmellate indigeribili.

Enrico Borghi, capogruppo di Italia Viva al Senato, in un’intervista al Quotidiano Nazionale del primo novembre, aveva posto dei paletti che paiono pressoché insormontabili: «In caso di sfiducia del Parlamento bisogna obbligatoriamente tornare alle urne, ovvero alla fonte primaria della legittimazione che e il voto popolare». Altro che il “secondo premier” demolito da Giuliano Amato, Francesco Clementi, Stefano Ceccanti, Peppino Calderisi e vari altri esperti.

Per non parlare dell’anomalia di un premio di maggioranza, che non è dato sapere quando scatti: un’enormità che non sarà sfuggita al professor Mattarella, e infatti questa proposta – ha detto Borghi – «non sta tenendo conto di una sentenza della Corte Costituzionale sul Porcellum che stabilisce le soglie minime».

Dunque i “paletti” renziani sono in partenza troppo alti. Il leader di Italia Viva terrà accesi i riflettori sulla trattativa che spera di intavolare in Parlamento, e forse anche fuori da esso, per recuperare una sua centralità politica e differenziarsi dalla sinistra e dal Partito democratico – che non avendo una loro proposta faranno le barricate contro il “Melonum” e stop, un portato di quel conservatorismo istituzionale figlio del mito della “Costituzione più bella del mondo” che fatalmente relega il partito di Elly Schlein in una posizione subalterna.

Renzi al contrario vuole dimostrare come si fa un’opposizione non sterile, quella del no a tutto, cui sembra abbarbicato il Partito democratico che si è fatto cogliere fermo sulle gambe pur disponendo di una proposta seria come quella del cancellierato alla tedesca.

Ma è anche vero che, per come ha messo le cose, Meloni non pare disponibile ad accordi, a compromessi, a mediazioni. E sbaglia. Perché andando contro la figura del presidente della Repubblica è destinata a perdere. Per questo Matteo Renzi, dopo aver fatto la parte del politico costruttivo, a un certo punto la mollerà e giocoforza si unirà agli oppositori di una riforma campata per aria.

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