Matteo Salvini è un dilettante rispetto a Silvio Berlusconi che scudisciava i sindacati scioperanti da grande comunicatore qual era. Una volta lo ha fatto addirittura a reti unificate Rai-Mediaset, per difendere le sue manovre finanziarie, la riforma pensionistica, la modifica antemarcia dell’articolo 18 (ben prima di Matteo Renzi). Erano i primi anni di questo secolo quando il Cavaliere diceva che lo sciopero generale fa parte di un rito trito che non ha alcun effetto, che i sindacati mettono padri contro i figli.
Oggi è il ministro delle Infrastrutture che impugna la clava o il manganello metaforico per lanciare ultimatum, minacciare precettazioni, insinuare weekend lunghi e tutto quello che serve per radicalizzare lo scontro politico. Al di là del merito, si tratta di un scontro politico che ha l’effetto di anticipare le prossime campagne elettorali, quando il premierato campeggerà nella Costituzione.
Si dirà: sì, vabbè, ce ne vuole ancora prima di arrivare a quel punto; e poi la riforma costituzionale dovrà passare la prova del referendum. Certo, è ancora presto per immaginare lo scenario in cui due o più candidati si sfideranno direttamente per la poltrona di Palazzo Chigi. Ma quello che conta oggi è il presupposto per arrivare a quella polarizzazione dell’elettorato. È il primo assaggio arriverà presto, alle Europee di giugno 2024.
Giorgia Meloni manda avanti Salvini contro i sindacati. Lui si illude che così facendo, mostrando i muscoli come faceva la buonanima del Cavaliere, macinerà consenso perché l’unico pensiero fisso del capo leghista è superare l’asticella del dieci per cento che i sondaggi ancora gli negano. E ciò nonostante abbia di nuovo imbracciato l’arma dell’immigrazione, come se al governo ci fossero i marziani, e cavalcato tutte le opere pubbliche finanziate dal Pnrr, anche quelle frenate dal collega Raffaele Fitto, come il valico Genova-Milano. Ma Salvini spera ancora di risalire la china al punto che nella Lega c’è perfino chi (il fedelissimo sottosegretario Alessandro Morelli) non considera scontata la candidatura alla premiership della presidente del Consiglio.
Così il Capitano si sbraccia per apparire l’anti-Landini, come l’alfiere di un vasto elettorato che non sopporta i sindacati e la sinistra, il difensore dei pendolari e di chi subisce la sospensione dei pubblici servizi. Nel solco berlusconiano, che i voti però li prendeva veramente su questo terreno e su quello delle toghe rosse. L’impressione (possiamo sbagliare, ma lo vedremo vivendo) è che alla fine della giostra a fare cassa elettorale sarà Meloni.
Il risultato elettorale di queste mobilitazioni e polemiche per il Partito democratico e il Movimento 5 stelle è un altro discorso. Intanto la presidente del Consiglio è ben contenta di mandare avanti il ministro per le Infrastrutture che convoca i «capricciosi» sindacalisti al ministero, minaccia ultimatum di mezzanotte come uno sceriffo che si prepara alla sparatoria all’Ok Corral. La situazione fa un po’ ridere se non fosse maledettamente seria in questo sfortunato Paese in cui non c’è mai concordia su nulla. Ma in questo caso c’è di più, come dicevamo.
Viene radicalizzato al massimo lo scontro, si nega il diritto al dissenso sulla legge di bilancio da parte dei due sindacati considerati «un’estrema minoranza politicizzata che blocca venti milioni di italiani che usano i mezzi pubblici». Verranno precettati: il 17 novembre si potrà scioperare solo dalle 9 alle 13 per tutto il settore dei trasporti.
A Meloni fa gioco questa faccia dura. Sarà lei la destinataria del consenso che Salvini spera di suscitare su sé stesso come uomo d’ordine. Sarà lei a raccogliere i frutti di questa esasperazione sociale e politica. Almeno questa è la sua intenzione per portare alle Europee Fratelli d’Italia al trenta per cento. E, soprattutto, incassare milioni di voti personali se sarà lei a guidare alle Europee le liste del suo partito. Passando sopra Salvini con il caterpillar.
Milioni di voti sulla sua persona, proprio le prove generali della campagna elettorale del 2027 per l’elezione popolare del premier. Per fare questo work in progress di polarizzazione, serve un utile idiota.