Mi fisco di teScende l’Iva non pagata, ma gli italiani rimangono i maggiori evasori d’Europa

Il sistema economico italiano è il meno efficiente dopo quello greco. L’unico modo per risollevarsi è recuperare la fiducia da parte dell’Unione europea, abbattendo l’evasione fiscale

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In economia, i capitali sono il mattone per la produzione di denaro e di benessere, per la crescita. Ma il capitalismo, appunto, non si nutre solo di asset fisici e monetari. Ve n’è un altro che è altrettanto fondamentale: la fiducia. Questa entra in gioco soprattutto quando si devono condividere risorse, e l’Unione Europea può essere un buon esempio. Il suo funzionamento si basa sul fatto che i governi si fidano l’uno dell’altro, si fidano della veridicità dei dati economici comunicati siano veri, hanno fiducia nel rispetto della parola data, e magari nella capacità di riscuotere le tasse. Quest’ultima è fondamentale nel momento in cui il debito di un Paese influenza l’affidabilità di tutta l’economia europea, e a maggior ragione quando è presente un embrione di bilancio comune, come quello Ue, una delle cui fonti è costituita proprio dall’Iva raccolta in ogni Paese.

L’imposta sul valore aggiunto è non a caso sotto la lente della Commissione Europea, la presenza di un’evasione piccola o grande è una misura dell’efficienza di un apparato statale e, quindi, di quanta fiducia può ispirare un Paese ai propri vicini.

Vi è una bella e una brutta notizia per l’Italia su questo versante. La brutta è che rimaniamo tra i Paesi con un tax gap maggiore, ovvero con il maggior rapporto tra Iva effettivamente incassata e quella teorica che, secondo i calcoli degli analisti, avremmo dovuto raccogliere sulla base dei consumi e delle aliquote applicate. 

Nel 2022, in base ai dati ancora parziali disponibili, tale gap è stato del 9,19 per cento, molto più alto di quello francese, tedesco e di gran parte degli Stati membri, inclusi molti dell’Est Europa. Nel 2021, anno per cui vi sono numeri più completi, avevano fatto peggio di noi solo Lituania, Grecia e Malta e Romania. In quest’ultimo caso la percentuale di imposta sul valore aggiunto non incassata ha toccato addirittura il 36,71 per cento.

Fonte: Commissione europea

La buona notizia è che negli anni il tax gap relativo all’Iva è nettamente sceso in Italia, sia in valore assoluto che relativo. Per lungo tempo, fino al 2013, era stato intorno al trenta per cento per poi diminuire gradualmente fino al ventidue per cento del 2019 e a crollare di oltre la metà nel 2020 e 2021. 

Naturalmente con questi ultimi dati c’entra la pandemia, che ha visto un incremento sia degli scambi che dei pagamenti digitali, meno soggetti a evasione, ma anche l’introduzione a pieno regime della fatturazione elettronica. Tuttavia, con l’eccezione della Romania, lo stesso calo del tax gap ha interessato un po’ tutti i Paesi, chi più, perché magari con un alto livello di elusione ed evasione, chi meno, perché già virtuosi. Il risultato è che l’Italia è rimasta tra gli Stati membri Ue con la maggiore proporzione di Iva non pagata.

Fonte: Commissione europea, Italia in rosso e altri Paesi in grigio

La crescita dell’incasso effettivo è stato importante, vi è stata un’emersione del nero che ha interessato anche l’Iva teoricamente recuperabile, ma più ancora quella effettivamente incassata, che nel 2022 dovrebbe avere toccato i 138,5 miliardi di euro, ventisei in più che nel 2019. Parallelamente il tax gap è sceso a quattordici miliardi, meno della metà che nel periodo pre-Covid. Il fatto è che anche in Germania il gettito reale è decollato, dai 244,1 miliardi del 2019 ai 287,5 del 2022, o in Francia, da 174 a 199,7 miliardi. 

Fonte: Commissione europea

Questo ha fatto in modo che l’Italia mantenesse un primato non lusinghiero, quello di essere il Paese con la quota di maggioranza relativa sul tax gap comunitario complessivo. Cioè, fatta cento l’evasione europea dell’imposta sul valore aggiunto, nel 2021 il 24,1 aveva luogo in Italia, solo 15,76 in Francia e 12,31 la metà, in Germania, che pure ha un’economia doppia della nostra. Questa percentuale non è cambiata granché nel tempo, significa che nonostante gli indubbi miglioramenti in Europa rimaniamo i più grandi evasori.

Fonte: Commissione europea

Consideriamo, tra l’altro, che l’Italia è il secondo Paese, dopo la Spagna, per Vat policy gap. Si tratta del rapporto tra il gettito Iva teorico che lo Stato dovrebbe incassare se tutti pagassero e quello che incasserebbe se veramente tutti i consumi fossero tassati, ovvero se non vi fossero esenzioni di prodotti e servizi o aliquote ridotte. Questo policy gap è di ben il 56,21 per cento in Italia, contro una media Ue del 44,92 per cento, e la maggioranza, il 41,81 per cento, è dovuta proprio alle esenzioni.

Questo vuol dire che la nostra evasione è alta nonostante lo Stato tassi meno della metà della base imponibile dei consumi che si verificano nel nostro Paese. Anche in Spagna, come si vede, il governo rinuncia a molti incassi, ma perlomeno di quelli che punta a raccogliere pochi gli sfuggono.

Un altro dato particolare, e probabilmente non casuale, è che in Italia e in Spagna il gettito Iva è molto sbilanciato verso i consumi delle famiglie, che ne costituiscono quasi il settanta per cento del totale, mentre in Francia e Germania sono poco più del cinquantacinque per cento. E l’Iva sui consumi al dettaglio evidentemente sono sempre stati più facili da evadere, anche se ora meno che in passato.

Fonte: Commissione europea

Il risultato è che quello italiano è il sistema meno efficiente dopo quello greco, il rapporto tra gettito effettivo e quello massimo teorico, ovvero senza esenzioni, senza sconti e senza evasione, è solo del 43,46 per cento, contro una media Ue del 58,08 per cento.

Fonte: Commissione europea

Il problema è che nelle lunghe fasi di stagnazione e crisi della nostra economia è stato veramente molto difficile riuscire ad allargare la base imponibile, nonostante soprattutto un tempo, quando gli occupati erano molto meno di ora, sarebbe stato meglio affidarsi di più a questa imposta invece di averne un cuneo fiscale così alto sui redditi da lavoro. Oggi, con l’inflazione così alta, è improponibile. 

Allora a maggior ragione è necessario continuare ad abbattere l’evasione, motivo per cui è necessario insistere con la transizione digitale dei pagamenti. L’obiettivo principale non è tanto un maggior gettito, seppure ne abbiamo un gran bisogno, ma il recupero di quel capitale sociale di cui da tempo siamo scarsi, la fiducia dei nostri partner. In tempi di rallentamento della crescita, con il ritorno della stagnazione e soprattutto dei vincoli di bilancio, non possiamo farne a meno.

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