Provaci ancora PedroSánchez è di nuovo il primo ministro della Spagna, ma adesso viene la parte più difficile

Dopo settimane di negoziati estenuanti il leader del Psoe ha trovato la quadra per formare l’esecutivo per la terza volta. L’accordo di governo, però, è molto controverso e ogni nuova proposta dovrà essere approvata da un gruppo di partiti molto diversi tra loro, che vanno dalla sinistra radicale al centrodestra

AP/Lapresse

A quasi quattro mesi dalle elezioni, il premier uscente Pedro Sánchez è stato rieletto dal parlamento spagnolo alla prima votazione, con la maggioranza assoluta (centosettantanove voti). Un risultato storico che supera quelli ottenuti dallo stesso Sánchez dal 2018 a oggi e che è il frutto di settimane di intensi negoziati con sette gruppi molto diversi tra loro, tra cui il partito indipendentista catalano Junts, che ha sostenuto la rielezione di Sánchez – la terza di fila – in cambio di una legge di amnistia per le persone coinvolte nel processo indipendentista.

Un accordo di governo, quello con il partito guidato dall’ex presidente della Catalogna Carles Puigdemont, che ha diviso profondamente non solo la politica spagnola, ma anche la magistratura e la società civile, e che potrebbe mettere in difficoltà la tenuta del governo Sánchez tris.

Alle elezioni dello scorso luglio, la maggioranza relativa dei voti era andata al Partido Popular (Pp, centrodestra), ma né la coalizione di destra, né quella di sinistra erano riuscite a raggiungere la maggioranza assoluta. A fine agosto, il re Felipe VI aveva incaricato il leader del Pp, Alberto Núñez Feijó, di provare a formare un nuovo governo. Feijóo, tuttavia, non era riuscito a ottenere la fiducia della maggioranza del parlamento, aprendo la strada al tentativo di investitura del primo ministro uscente.

Nelle ultime settimane, il Partito socialista (Psoe) guidato da Sánchez è riuscito ottenere il sostegno non solo della formazione di sinistra Sumar, con cui formerà un governo di minoranza, ma anche l’appoggio esterno di sei partiti regionali autonomisti o indipendentisti (i baschi Bildu e del Partido Nacionalista Vasco, la formazione galiziana Bloque Nacionalista Galego, la Coalición Canaria e i due partiti catalani Esquerra Republicana e Junts), in cambio di importanti concessioni.

La più significativa è la legge di amnistia voluta proprio da Junts che, una volta approvata dal parlamento e dal Senato, metterà fine ai processi in atto e annullerà le condanne già emesse nei confronti di politici e cittadini indipendentisti tra il 2012 e il 2023. La misura dovrebbe riguardare circa quattrocento persone, tra cui non solo il leader del partito Carles Puigdemont, che dopo il referendum di autodeterminazione della Catalogna del 2017 si è rifugiato a Bruxelles per evitare la giustizia spagnola, e altre personalità di spicco dell’indipendentismo catalano, ma anche i sindaci, i funzionari, i presidi e gli agenti che avevano contribuito all’organizzazione del referendum o manifestato nel 2019 contro le sentenze emesse dal Tribunale Supremo nei confronti dei promotori del referendum.

Per rallentare l’iter di approvazione della legge, il Pp ha già fatto approvare al Senato una riforma del regolamento che allunga i tempi di approvazione delle leggi urgenti da venti giorni a un massimo di due mesi. Il Psoe ha già annunciato che farà ricorso al Tribunale costituzionale, anche se molto probabilmente dalla proposta in parlamento all’effettiva applicazione della legge di amnistia potranno passare molti mesi, a causa dei numerosi ricorsi che potrebbero intentare i partiti di opposizione e le principali associazioni di giuristi, che si sono già schierate contro la legge.

Lo stesso Pp ha riunito domenica scorsa circa ottantamila persone a Madrid e altre migliaia in più di cinquanta città spagnole per manifestare contro l’investitura di Sánchez e il patto con Junts, mentre da quasi due settimane il partito di estrema destra Vox alimenta, attraverso una fitta rete di pseudo-associazioni giovanili formalmente non legate al partito, numerose proteste di fronte alle sedi del Partito socialista in tutto il Paese. Le più partecipate sono quelle in calle Ferraz, sede del Psoe a Madrid, dove negli ultimi giorni ci sono stati anche decine di feriti e di arresti.

Oltre alle accuse dell’opposizione e il malcontento di parte della popolazione spagnola, nei prossimi quattro anni di legislatura Sánchez dovrà trovare un modo per far approvare le misure proposte dal suo governo di minoranza a un gruppo di partiti ideologicamente molto diversi tra loro, che vanno dalla sinistra radicale al centrodestra.

«Durante la scorsa legislatura, il primo governo di coalizione della storia della Spagna è riuscito a far approvare numerosi leggi progressiste, nonostante la pandemia e la guerra in Ucraina. Credo che la prossima legislatura sarà molto più stabile e produttiva di quanto si pensi», ha ricordato a Politico l’ex ministro della Salute Salvador Illa.

Una sfida che Sánchez dovrà affrontare senza dimenticare che fuori dal palazzo della Moncloa esiste una Spagna sempre più divisa e polarizzata che la legge di amnistia sarà capace di riavvicinare solo in minima parte.

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