Mancanza di FideszIl solito veto di Orbán potrebbe impedire l’ingresso dell’Ucraina nell’Ue

Al Consiglio europeo del 14 e 15 dicembre il premier ungherese pretenderà concessioni dagli altri ventisei stati membri per non ostacolare gli aiuti a Kyjiv e il suo negoziato per il futuro ingresso. Ma il congelamento dei fondi europei bloccati a Budapest potrebbe non bastare

LaPresse

Il prossimo Consiglio europeo che si terrà a Bruxelles il 14 e 15 dicembre sarà probabilmente una delle prove di unità d’intenti più delicate per i ventisette. L’agenda si articola in vari punti, da Gaza alla sicurezza del blocco ma sarà un vertice importante anche e soprattutto per il futuro dell’Ucraina: il sostegno economico, quello militare, le nuove sanzioni alla Russia e il percorso di allargamento. Dagli incontri di questa settimana passa buona parte del futuro di Kyjiv.

Formalmente all’ordine del giorno c’è la revisione del bilancio UE 2021-2027 ma all’atto pratico il Consiglio dovrà confermare il suo sostegno finanziario all’Ucraina. La proposta della Commissione europea vorrebbe creare una riserva finanziaria a favore di Kyjiv da cinquanta miliardi per i prossimi quattro anni (trentatré sotto forma di prestiti e diciassette a fondo perduto) attraverso una revisione del quadro finanziario pluriennale. Non tutti però sono d’accordo. Il Consiglio discuterà anche delle forniture militari attraverso il programma European Peace facility, accompagnato dai finanziamenti bilaterali dei vari Paesi. In ballo c’è un piano di sostegno gestito dall’UE da venti miliardi che sta però incontrando qualche resistenza da parte della Germania che opterebbe invece per i rapporti bilaterali. Ma come sottolineato dall’Alto rappresentante Borrell «è importante che il sostegno all’Ucraina continui a esserci anche a livello europeo». Diversi Paesi spingono affinché almeno cinque miliardi dell’EPF siano a disposizione di Kijyv già dal prossimo anno.

In agenda c’è poi la politica di allargamento dell’Unione europea con i ventisette Paesi che saranno chiamati a valutare i progressi nel percorso di avvicinamento di alcuni Paesi dei Balcani occidentali (non a caso un giorno prima del Consiglio si terrà a Bruxelles il summit UE-Balcani Occidentali) ma che dovranno soprattutto esprimersi sull’accelerazione dei negoziati di adesione dell’Ucraina all’Unione europea. Kyjiv ha già approvato tre delle quattro leggi richieste da Bruxelles per l’apertura dei negoziati e l’ultima è già stata depositata in Parlamento. Anche qui però c’è qualcuno contrario.

La partita ucraina si gioca quindi su due assi, il sostegno economico e il percorso di allargamento. Quasi tutti i Paesi spingono per continuare a garantire l’appoggio all’Ucraina, che in questa fase diventerebbe fondamentale soprattutto dopo i tentennamenti degli Stati Uniti (Biden non è riuscito a far approvare il piano da sessanta miliardi di sostegno a Kijyv e in questi giorni Volodymyr Zelensky è volato a Washington nel tentativo di far cambiare idea al Congresso).

Un dietrofront anche da parte di Bruxelles si rivelerebbe «devastante per l’Ucraina e per l’Unione europea, perché lancerebbe il messaggio che l’Ue non è in grado di prendere decisioni storiche», come evidenziato dal Ministro degli esteri ucraino Dmytro Kuleba a margine del Consiglio affari esteri dell’Ue. L’analisi è condivisibile: far mancare il supporto a Kijyv significherebbe servire un assist a Putin a meno di due anni dall’inizio dell’invasione. Bruxelles questo vuole evitarlo e i leader di diversi Paesi stanno lavorando per superare le resistenze dell’unico intenzionato a porre il veto sulle due questioni principali che riguardano l’Ucraina: Viktor Orbán.

Il leader ungherese ha inviato la scorsa settimana una lettera al Presidente del Consiglio europeo Charles Michel chiedendo formalmente di non prendere una decisione sul sostegno economico e sul piano di allargamento. Le motivazioni sono le stesse che accompagnano le domande del referendum farsa voluto dal leader di Fidesz: l’allargamento porterebbe a grossi problemi di stabilità nell’Unione soprattutto in alcuni settori come l’agricoltura e continuare a sostenere economicamente Kijyv richiederebbe un ulteriore sforzo per gli ungheresi proprio mentre i fondi europei destinati a Budapest sono stati bloccati a causa delle violazioni dello stato di diritto. Ed è qui che sta il reale motivo del veto di Orbán.

Il Presidente magiaro – come ha già fatto in questi mesi – proverà a sfruttare la questione ucraina a suo vantaggio nel tentativo di sbloccare i fondi europei e dare un pò di ossigeno alle casse ungheresi. La Commissione europea sembrerebbe intenzionata ad accontentarlo “scongelando” dieci miliardi pur di superare i veti sull’Ucraina. Sarebbe una vittoria politica per l’Ungheria, che potrebbe portare Budapest ad alzare ulteriormente la posta. Orbán sa che Kijyv e Bruxelles si giocano molto: l’Ucraina ha bisogno del sostegno europeo per continuare a difendersi dall’invasore russo mentre l’UE si gioca la propria immagine a livello internazionale e la capacità di essere incisiva sulle questioni più importanti.

Per questo motivo la pressione su Orbán si sta alzando e diversi leader europei hanno voluto incontrarlo in questi giorni. Michel ci ha provato a novembre (senza successo vista la lettera di Budapest della settimana scorsa). Poi è stata la volta di Emmanuel Macron che ha ospitato il Presidente ungherese all’Eliseo, anche se non è chiaro se l’appuntamento di Parigi abbia portato a qualche risultato. Il leader di Fidesz ha anzi approfittato della visita francese per parlare di allargamento e definire l’Ucraina uno dei Paesi più corrotti al mondo. Hanno seguito il leader spagnolo Pedro Sánchez (che guida il Consiglio dell’UE) e, a margine del Consiglio Affari esteri, i ministri di praticamente tutti i Paesi del blocco compreso Antonio Tajani. L’Italia, vista la vicinanza degli scorsi anni di Giorgia Meloni con il suo omologo ungherese, si sarebbe potuta ritagliare un ruolo più determinante in questa partita, anche se Orbán da qualche mese sembra non rispondere a nessuno dei leader che dovrebbero essere suoi alleati. Se non, forse, a quello che siede al Cremlino.

Bruxelles proverà comunque a portare a casa l’ok dei ventisette. Sulla revisione del quadro finanziario pluriennale e, quindi, sul sostegno economico all’Ucraina è pronto un piano B che passa dagli accordi bilaterali ma è evidente che questo percorso sarebbe più lento e difficile e darebbe un messaggio poco incisivo. Sull’allargamento, Commissione e Consiglio cercheranno un approccio pragmatico: arrivare a decidere già ora, formalizzando il tutto con una conferenza a marzo. L’idea è quella di mettere l’Ungheria con le spalle al muro isolandola dagli altri ventisei Paesi.

Nel frattempo continuerà il pressing su Orbán e dovrebbero essere sbloccati i dieci miliardi dei fondi congelati, permettendo al leader ungherese di vincere questo round. Questa concessione potrebbe forse essere interpretata come un segno di debolezza da parte dell’UE ma allo stesso tempo darebbe al resto del mondo il segnale forte che, come la Commissione sottolinea dall’inizio del conflitto, l’Europa è disposta a sostenere l’Ucraina fino a quando necessario. «Whatever it takes» direbbe qualcuno che potrebbe tornare presto dalle parti di Bruxelles.

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