«Ma se io ho una cliente che sta facendo la ceretta, come faccio a dirglielo?». L’estetista che lavora in Strada Maggiore, una delle due vie che dalle Due Torri vanno verso i viali di circonvallazione bolognesi, è un po’ preoccupata. Sono passati i vigili, si sono presi i numeri di telefono di tutte le estetiste, e le hanno avvisate: se la Garisenda crolla arriva un alert, in quel caso voi scappate verso piazza santo Stefano.
Che è di più semplice esecuzione se, come praticamente tutti gli esercizi pubblici bolognesi, sei un ristorante (era quarantatré anni fa, quando Guccini cantava «mercati all’aperto, bistrot, della rive gauche l’odore», e molto più di allora Bologna è una gigantesca mensa per poco ricchi).
Il cliente del bistrot lo puoi far alzare e correr via senza grandi intoppi: inefficiente com’è il personale dei ristoranti bolognesi, è probabile che neppure gli abbia ancora portato l’acqua. La fuga della signora senza mutande che si stava depilando le innominabilità è più complicata.
Da quando questa storia del crollo della Garisenda è cominciata è cambiato tutto – sono partiti che dovevano risolverla in tre giorni, ora siamo a una stima di dieci anni e una quantità di milioni di euro che si potrebbero far campare principescamente tutti quelli che vivono sotto i portici e chiedono la carità ai tavolini dei bistrot, e tutti i loro discendenti – ma anche da quando ne ho scritto io più di recente sono cambiati un po’ di dettagli.
Per esempio, il sindaco ha smesso di condividere compiaciuto come una miss in gambissima gli articoli stranieri che parlano della torre pendente. Metti che a vedere i venti milioni di euro titolati dal Guardian a qualcuno venga un dubbio sulla sensatezza di questo circo.
Però dichiara con americanizzata soddisfazione che la raccolta fondi sta andando benissimo. Certo che raccolgono i fondi, Bologna è l’avamposto dell’americanizzazione dell’occidente, c’è un ricco che dà da mangiare ai senzatetto, una ricca che cura le leucemie, a Bologna non esiste stato sociale, esistono generosi benefattori, per quello teniamo tanto alle torri medievali: sono simboli del mecenatismo che tanto ci piace.
Dunque la raccolta fondi, il cittadino che paga tasse per servizi inesistenti è lieto di fare la carità al suo comune. Già ottocentomila euro che non verranno usati per raccogliere la spazzatura come nelle città civili, ma per mettere delle pareti rosse attorno alla Garisenda che – altra novità – non si sa più bene da che parte caschi (forse implode, dice una delle ipotesi degli esperti: gli esperti di Garisenda fanno sembrare gli astrologi persone serie).
Le pareti protettive costano, solo loro, quattro milioni di euro, e per fissarle bisogna fare dei buchi nella pavimentazione, quindi è in corso un’operazione un ciccinino ridicola. Intorno alle Due Torri è stato fatto il vuoto come accade coi pazienti da rianimare, sono state messe transenne e teli per non far guardare cos’accada nello spazio di rianimazione (ovviamente i teli dopo un attimo erano stati squarciati in più punti e si facevano i turni davanti agli squarci per filmare dentro: tenerella l’amministrazione bolognese che pensa sia il 1982 e si possa fare qualcosa di riservato).
In questo vuoto, omini solitari con martelli pneumatici fanno i buchi su cui immagino verranno impiantate le pareti più costose della storia dell’urbanistica. L’altro giorno ho instagrammato un video dicendo che era certo un’ottima idea deviare il traffico perché le vibrazioni fanno male alla Garisenda, e poi dargli giù con un martello pneumatico dieci ore al giorno.
Ingegneri volontari sono accorsi a spiegarmi che le vibrazioni del martello pneumatico sono vibrazioni buone, mica come quelle degli autobus. Il bolognese vive in una città in cui devi telefonare la lettura dei contatori come nell’82, ci sono i cassonetti come nell’82, la consegna a domicilio dai ristoranti funziona a casaccio come nell’82: ha così poche soddisfazioni che tutto quel che gli resta è la reputazione della sua città, ed è disposto a tutto per difenderla, anche a coprirsi di ridicolo dicendo che è efficiente o che è pulita.
Tranne che per filmare i martelli pneumatici, i bolognesi evitano di passare là sotto da quando il reparto rianimazione ha ristretto la piazza, e tocca accalcarsi in un budello. I commercianti di via san Vitale, l’altra strada che va verso i viali, sono furibondi e vogliono indennizzi, e nessuno osa dir loro che veramente via san Vitale era una strada commercialmente morta anche prima.
Morta che si finge viva, sta per aprire a portata di crollo una succursale d’un negozio di panini alla mortadella (sì, fanno solo panini alla mortadella; sì, in quella già aperta ci sono sempre decine di persone in fila: «benessere, ville, gioielli, e salami in vetrina»). Di fianco ha appena riaperto la Coop ristrutturata. Ho chiesto come fare a fare la tessera, ero pronta a tradire i punti fragola. La commessa mi ha detto «Deve portarmi venticinque euro in contanti». Il rosso e il nero.
Anni fa volevo comprare, in un negozio di modernariato poco più in là del prossimo crollo della Garisenda, un poster che annunciava la presenza di Togliatti in una “Tribuna politica”: mi trattarono talmente male che me ne andai senza prenderlo, una cosa che credo di non aver mai fatto in una vita di consumismo. Da allora ogni volta che passo davanti a quel negozio, ed è inderogabilmente deserto, mi chiedo come possa un commerciante senza clientela essere scortese con l’unica allocca che gli avrebbe dato dei soldi: sarà ricco di famiglia?
Forse i commercianti bolognesi sono tutti ricchi di famiglia, sarebbe l’unica spiegazione logica alla loro inefficienza e scortesia. La spiegazione alla loro usurpata fama di gente accogliente è invece abbastanza ovvia: i luoghi comuni scambiano i bolognesi per romagnoli.
I bolognesi evitano di passare dal budello rimasto tra la libreria Feltrinelli e la torre pericolante, dicevo; i turisti invece si accalcano per fotografarla con la voluttà con cui io, ogni volta che mi capita di girare per Bologna, fotografo mucchi di spazzatura: ho passato la mia vita adulta a Milano, una città in cui sono riusciti a organizzare in maniera efficiente quella scissione dell’atomo che è la raccolta della spazzatura, vedere il centro di Bologna coi cassonetti sigillati attorniati dai mucchi di spazzatura è per me una gita esotica a Scampia o simili.
I turisti fotografano la Garisenda non in quanto monumento imperdibile, lo specifico perché non vorrei che il sindaco leggesse e s’illudesse e condividesse la buona notizia sul suo Instagram. La fotografano perché, se la loro è l’ultima foto prima che crolli, sai quanti cuoricini poi sul loro Instagram. La fotografano sperando nella catastrofe. Poi vanno a riprendere un RyanAir per ripartire verso qualche altra sveltina di turismo straccione, senza il tempo di rendersi conto che la catastrofe è già qui.