Quando i francesi passarono in Acaia La Grecia e l’eredità gastronomica medievale

Partiti dalla Francia alla volta della Terrasanta, i crociati portarono con sé lingua, usanze, stile architettonico e soprattutto cibi e ricette ancora oggi radicati nelle tradizioni locali, pur se mescolate con quelle di altre influenze, arabe in primis

Nafplio, Foto di Uta Scholl su Unsplash

C’è qualcosa di nordeuropeo, un’atmosfera di grandi camini accesi ed epiche cacce, di cavalieri e chanson de geste, nel passato medievale della Grecia. Nella corona di castelli costruiti da nobili francesi e italiani dopo la quarta crociata, a guardia di piccoli regni e principati fondati nel Peloponneso sui territori del dissolto impero bizantino, spiccano le torri e le fortificazioni di sistemi difensivi che hanno cambiato spesso bandiera, dai bizantini, ai franchi, agli ottomani.

In quello che fu il regno di Acaia, il più longevo dominio franco, l’imponente castello di Chlemoutsi, con la doppia cinta muraria quasi perfettamente conservata, nelle sue sale ospita un museo dedicato alla storia della presenza dei franchi nella regione, con sezioni dedicate all’architettura, alle leggi e alla vita quotidiana. Un mondo, a vederlo ora, senza alcun tentativo di integrazione, anzi con ruoli ben separati.

©Hellenic Ministry of Culture and Sports / Ephorate of Antiquities of Ilia

Poiché la maggior parte dei crociati proveniva dalla Francia, la lingua ufficiale degli Stati crociati era la langue d’oeil, che allora era parlata nella Francia settentrionale e dai Normanni. Per contro, la maggior parte delle popolazioni indigene parlavano o l’arabo o il greco, o entrambe. Le barriere linguistiche e religiose, cattolici i franchi, ortodossi i greci, lasciavano poco spazio all’interazione, i contatti erano limitati alle questioni legali, economiche ed amministrative.

Per il resto, il popolo viveva secondo le abitudini locali, mentre i nobili cercavano di mantenere e riprodurre integralmente le loro usanze, negli abiti, negli arredi, nella fede, nello stile delle fortificazioni; e anche nel cibo.

Ecco perché nella cucina greca, accanto agli antichi piatti tradizionali già citati fin dai tempi di Omero, a base di cereali, legumi, verdure, olio, olive, miele, vino e carni ovine, e alla dominante e resiliente influenza della dominazione turca, così profonda da generare continui dubbi su chi abbia “inventato” cosa, come con le classiche mezes, o con il caffè greco/turco, affiorano tracce e reminiscenze di quell’epoca.

A partire dall’ingrediente apparentemente più improbabile, il couscous, anzi il kouskousakis, che oggi è un tipo di pasta molto diffuso in tutto il Paese in vari formati, dai più piccoli ai più grandi, preparato come contorno per piatti di carne, come primo, come variante della classica insalata greca e che, arrivato in Europa dopo il Mille col ritorno dei primi crociati dal Medio Oriente, fu portato in Acaia dai franchi, che lo avevano adottato come versatile ingrediente dei loro piatti.

Poi c’è il grano saraceno, quello della polenta bigia, citata anche da Manzoni nei Promessi Sposi, un altro ingrediente arrivato in Europa dopo il Mille, che nell’Est e in Russia chiamano grano greco. Anche se la sua presenza in Grecia, secondo altri, sarebbe da attribuire ai soliti turchi e l’origine è controversa.

Sono invece sicuramente le crociate che, a partire dal dodicesimo secolo, fanno conoscere lo zucchero alla popolazione europea: i crociati scoprono la coltura della canna da zucchero in Oriente e la vanno a impiantare in Italia, nel mezzogiorno della Francia e in Grecia, dove affianca l’uso a tutto campo del miele, anche se la nuova “spezia” era particolarmente costosa e non molti se la potevano permettere.

Tuttavia, anche qui, non tutto è così scontato. In Tracia, la regione più a est dell’odierna Grecia, da tempo immemorabile si produce il petmezi, una melassa tradizionale ottenuta dalla canna da zucchero che la leggenda vuole portata nel Paese da Alessandro Magno in persona.

Tracce di gusti centroeuropei, e francesi, si trovano anche nel tipo di carni usate in molte ricette, il maiale invece dell’agnello tipico del Sud del paese, popolare grazie anche al clima più umido e fresco, e l’uso della besciamella, la “salsa bianca” a base di latte, farina e burro di origine francese o forse italiana, aggiunta a piatti tradizionali e diffusi, con molte varianti, in tutta l’area balcanica, come la moussakà. Che nel nome, derivante dall’arabo musaqqa‘ah, che significa raffreddare, rivela la sua originaria semplicità: melanzane, formaggio, e al massimo ceci, per un piatto forse più simile alla parmigiana di melanzane.

Una singolare tradizione unisce Francia e Grecia attorno a un dolce, la vassilópita, la torta di San Basilio, che si mangia nel giorno della festa del santo, il primo gennaio, a Capodanno. Una specie di torta paradiso o pan di spagna molto soffice guarnito di mandorle dove, nella pastella, di solito prima della cottura, viene nascosta una moneta chiamata flurí, in ricordo del fiorino, la moneta d’oro fiorentina. Trovarla nella propria fetta porta fortuna e spesso si riceve anche un piccolo regalo, chiamato ghúri.

Qualcosa di molto simile all’usanza francese della Galette des Rois, che si prepara per l’Epifania e che viene sormontata, in onore dei Re Magi, da una piccola corona di cartone.
Una storia che parte dal Medioevo quando, intorno all’anno Mille, in Olanda, Francia e Belgio si era diffuso un dolce che gli antichi romani consumavano durante i Saturnalia, legandolo  però all’arrivo dei Magi e che passò indenne anche la Rivoluzione Francese, prendendo il nome di Gateau de l’égalité. Anche nella Galette, a base di pasta sfoglia e crema frangipane, si nasconde nell’impasto una fava, una mandorla, una moneta o una piccola statuina di ceramica, che il “re della giornata” trova a sorpresa nella sua fetta.

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