La strategia Popolari e liberali europei rincorrono la destra per frenare l’avanzata dei sovranisti

La riforma del Regolamento di Dublino, che rende più difficile ottenere il diritto d’asilo nell’Ue, e la recente legge sull’immigrazione in Francia sono due segnali della tendenza ad anticipare politiche dure contro i migranti per cercare di limitare il consenso elettorale dell’estrema destra

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La legge sull’immigrazione approvata pochi giorni fa dal parlamento francese è solo uno degli ultimi esempi della dinamica che vede, in molti Paesi europei, la destra liberale e i centristi subire la retorica dell’estrema destra, al punto doverne sposare alcune rivendicazioni per provare a limitarne il consenso elettorale. La messa in discussione dello ius soli (misura consolidata in Francia), l’inasprimento della legge sulla doppia cittadinanza e persino l’ostilità verso gli studenti stranieri contenute nella legge approvate dal governo francese sono, di fatto, una resa culturale a Le Pen, che non ha tardato a definire la legge una «vittoria ideologica» del suo partito. 

In Germania, l’aumento nei sondaggi dell’estrema destra di Alternative für Deutschland spinge alcuni tra i cristiano-democratici a chiedersi se non si debba, almeno in alcuni livelli locali, dialogare con gli estremisti, e negli ultimi anni la CDU, sotto la guida di Friedrich Merz, si è spostata a destra su molti temi rispetto alla linea Merkel. In Italia, Forza Italia fatica a trovare un suo spazio d’autonomia, pressata tra Lega e Fratelli d’Italia, e per la seconda volta consecutiva vedrà probabilmente un alleato di coalizione rubarle la scena nel campo del centrodestra alle elezioni europee (dopo l’exploit Lega del 2019). 

Queste dinamiche, del resto, sono in opera anche nelle istituzioni europee: la riforma del Regolamento di Dublino, su cui le istituzioni hanno trovato ieri un accordo, rientra pienamente in questa tendenza. L’accordo (che deve ancora essere ratificato da Parlamento e Consiglio) rende più difficile ottenere il diritto d’asilo in UE e, lungi dal risolvere il problema di una efficace redistribuzione di migranti e rifugiati tra gli Stati membri, permetterà agli Stati membri di pagare una determinata somma all’Unione per essere di fatto esentati dall’obbligo di accoglienza. 

Una mossa che, più che dalla volontà di dotare l’Europa di un reale meccanismo di distribuzione dei migranti, sembra motivata dalla necessità da parte della Presidente della Commissione Europea Ursula von der Leyen di poter dire di aver riformato Dublino, senza averlo fatto davvero (dato che i Paesi di primo arrivo continueranno a essere i più esposti). Del resto, von der Leyen non è esente dalla tendenza a compiacere la destra per questioni elettorali, preparandosi il terreno per una riconferma alla guida della Commissione. Si pensi, per esempio, al cambio di accenti (lessicale ma non solo) su temi come il Green Deal o la migrazione. 

Per frenare l’avanzata delle destre, liberali e popolari sembrano quindi essersi convinti che l’unica strategia possibile sia quello di combatterle sul loro stesso terreno, seppur con l’effetto collaterale di subirne l’influsso in termini di posizioni e di non riuscire più a dettare l’agenda politica. 

L’efficacia di questa strategia, però, è tutta da dimostrare. Anzi, i segnali sembrano opposti. Si guardi, ad esempio, a colui che più di tutti, nell’Unione, ha fatto propria questa convinzione: Manfred Weber, leader del Partito Popolare Europeo. Weber ha spostato gradualmente il Ppe a destra su dossier chiave, dalla sostenibilità alla migrazione ai rapporti tra Unione e Stati membri, eppure non solo in diversi Paesi europei i popolari non risalgono nei sondaggi, ma Weber stesso ha incassato a Bruxelles il voto contrario dei suoi parlamentari in alcune occasioni sensibili (come il Regolamento sulla Restaurazione della Natura, che ha visto diversi esponenti Ppe votare con socialisti e verdi). 

La tanto agognata (da Weber) alleanza tra Ppe ed Ecr (il gruppo europeo dove siedono Fratelli d’Italia e il PiS polacco, ad esempio) non sembra avere i numeri per ottenere da sola una maggioranza al Parlamento Europeo, stando ai sondaggi; e trovare un terzo componente non sarebbe facilissimo. In Francia, dopo aver subito il pressing di Le Pen, Macron deve ora fare i conti con le dimissioni di un ministro, il voto contrario di circa un quarto della sua maggioranza e un partito spaccato; il tutto mentre il suo stesso primo ministro ammette che ci sono dubbi sull’incostituzionalità della legge approvata.

Rincorrere le destre, insomma, sembra non aver particolarmente favorito i centristi e il centrodestra, anzi questi si trovano oggi senza una piattaforma politica autonoma, per giunta dopo aver legittimato politicamente forze con cui hanno affermato spesso, in passato, di non voler dialogare.

Alle elezioni europee mancano ormai meno di sei mesi: pochi, ma forse non troppo pochi perché i popolari si dotino di un’agenda politica propria, realizzando che a Bruxelles si governa con il proporzionale e che, in quest’ottica, ricavarsi un proprio spazio può essere più utile che inseguire altre forze (tanto più se, come i sondaggi autorizzano a credere, alla fine si dovrà guardare altrove, invece che alla propria destra). Il punto, però, è se ci sia la volontà politica per farlo.

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