È normale che i media evidenzino i dati più eclatanti e allo stesso tempo più negativi. È accaduto lo stesso con i numeri dei test Pisa sulle competenze dei quindicenni, rimarcando come l’Italia sia il Paese con le maggiori differenze tra maschi e femmine in matematica e come il Covid e la didattica a distanza abbiano inevitabilmente fatto dei danni. Danni che tra l’altro nel nostro Paese non sono stati peggiori che altrove. E quest’ultima sarebbe già una notizia. Ce n’è però un’altra più importante, che riguarda un tema centrale per il futuro di un Paese vecchio come l’Italia, l’integrazione degli stranieri: il divario tra gli studenti immigrati e quelli non immigrati in matematica è più basso di quello che si riscontra negli altri Stati avanzati, soprattutto quelli più simili al nostro. È mediamente di 29,91 punti, mentre in Spagna arriva a 32,54, in Francia a 51,47, in Germania a 58,69 e in Svezia addirittura a 62,91. Dall’altro lato vi sono i Paesi anglosassoni, sono quelli che presentano i differenziali più bassi e che in alcuni casi, quelli di Australia, Nuova Zelanda, Canada Regno Unito, vedono addirittura i quindicenni immigrati avere risultati migliori di quelli degli autoctoni.
Questo dato dipende dalle caratteristiche dei flussi migratori, che spesso in questi Paesi sono di provenienza asiatica. Ad arrivare, poi, sono di frequente immigrati di livello socio-economico già elevato, con competenze superiori a quelle di coloro che giungono in Italia. Questo ha conseguenze sul rendimento dei figli. È singolare, però, che nonostante il tasso di istruzione degli stranieri che approdano nel nostro Paese sia, come sappiamo, molto basso, i divari rispetto agli italiani siano così ridotti. Certo, il gap tra non immigrati e immigrati di prima generazione è più alto, di 46,5 punti, mentre quello che riguarda le seconde generazioni è inferiore, di 23,21, ma in entrambi i casi si tratta di numeri lontani da quelli dell’Europa centrale e settentrionale. Dato rilevante, questo divario è diminuito nel tempo, calando di più di diciotto punti in dieci anni. Altrove o il gap si è ridotto a un ritmo inferiore, come in Francia, o è addirittura peggiorato, come in Germania, Svezia, Paesi Bassi.
A generare questo miglioramento è stato soprattutto il dato sugli immigrati di seconda generazione. Non è un dato secondario, perché è proprio il segmento degli studenti nati in Italia da genitori stranieri quello che è cresciuto di più dal 2012. Sono saliti dal due al 7,6 per cento del totale, mentre le prime generazioni sono diminuite dal 5,5 al 3,1 per cento, visto il forte rallentamento degli arrivi. Le differenze tra immigrati e non immigrati scendono anche nell’ambito dei cosiddetti low performer, ovvero coloro che ricadono sotto la sufficienza in una materia. Nel caso della matematica sono in totale il 27,49 per cento tra gli italiani e il 39,24 cento tra gli stranieri e il divario dell’11,75 per cento è il minore da quando si tengono i test Pisa.
Purtroppo nel complesso i low performer sono aumentati, a causa soprattutto dal Covid, in particolare tra gli immigrati di prima generazione, ma questo peggioramento del rendimento non è una peculiarità italiana, anzi.
L’Ocse calcola che in Italia il rapporto tra la probabilità che uno studente straniero finisca sotto la sufficienza e quella che un non immigrato faccia lo stesso è di 1,695, ovvero il primo ha il 69,5 per cento di possibilità in più del secondo. È una percentuale molto alta, eppure inferiore rispetto a quella che divide locali e immigrati altrove. In Germania lo stesso gap è del 188,2 per cento, in Svezia del 232,1 per cento, in Francia del 143,8 per cento, in Spagna dell’89,4 per cento. Se si considerano i punteggi a parità di genere e di condizioni socio-economiche, il divario nei Paesi del Nord Europa diminuisce molto, in alcuni casi quasi dimezzandosi. Anche in Italia scende, andando al 26,9 per cento, ma meno che altrove. Significa che in alcune realtà, come quella tedesca o scandinava, una parte importantissima delle differenze tra immigrati e non dipende dai redditi delle famiglie straniere, nonché dalle condizioni di vita e abitative di queste. In Italia perlomeno questo fattore incide meno, nonostante, come sappiamo, i tassi di povertà degli immigrati siano molto più alti di quelli degli italiani.
Nel nostro Paese sembra esserci un’integrazione migliore tra italiani e stranieri, anche indigenti. Tra gli indicatori del grado di integrazione vi è l’uso della lingua d’adozione in casa. Ebbene, in matematica la distanza tra il punteggio italiano e quello medio dei Paesi Ocse, che è in generale negativa, diventa positiva, di 2,48 punti, nel caso degli stranieri che parlano italiano in famiglia. È l’opposto di quanto accade in Svezia e Finlandia, per esempio, o in Spagna e in Francia. Significa, detto in modo più chiaro, che in matematica gli italiani figli di italiani si fanno battere dai francesi, dagli spagnoli, dagli svedesi, ma i nuovi italiani, gli immigrati integrati, no. Questi hanno un rendimento migliore dei nuovi francesi, dei nuovi spagnoli, dei nuovi svedesi.
È sicuramente un dato positivo per il futuro. Non è solo merito della struttura sociale del Paese o di una maggiore integrazione, conta molto anche il fatto che dopo la Grecia, l’Italia è il Paese in cui vi sono meno studenti quindicenni appena arrivati nel Paese. Più della metà, il 52,62 per cento, vi sono giunti a cinque anni o ancora più giovani, al contrario che in Germania, per esempio, dove più dell’ottanta per cento è immigrato dopo quest’età.
Sono tutti asset di cui approfittare. Ce la faremo? Il Covid ha aumentato le disuguaglianze tra italiani e stranieri. C’è un dato che non può farci stare tranquilli, è quello che riguarda la quota di studenti stranieri in una condizione definita svantaggiata, ovvero di quanti rientrano nello scaglione più basso dei quattro che definiscono la situazione socio-economica. Ebbene, nel 2022 erano più di metà a trovarsi in tale segmento, decisamente più che nel 2018 o nel 2015. Parallelamente sono diminuiti i non immigrati nella stessa condizione.
Per ora questo peggioramento non ha influito nel rendimento dei ragazzi di origine straniera anche se sono dinamiche di lungo periodo. Però se non ci sarà un’inversione di tendenza le conseguenze si faranno sentire, e rischieremo di mettere un’ipoteca su una delle poche risorse di cui disponiamo, per quanto ormai anch’essa scarsa, i giovani stranieri integrati, nati o cresciuti qui. Riusciremo ad aiutarli a migliorare questo Paese?