Belgrado. Santi, scioperi della fame e possibili dossieraggi. C’è di tutto nelle proteste a Belgrado dopo il voto di domenica: a trionfare è il Partito progressista serbo (Sns) del presidente Aleksandar Vučić, primo in Parlamento e vincitore anche alle comunali di Belgrado. Ma le opposizioni denunciano brogli e da lunedì 18 dicembre, dalle 18 in poi, si assiste a una protesta giornaliera nella via che divide la Commissione elettorale dal palazzo presidenziale. Cori, pomodori e cartelli: la richiesta è quella di annullare le elezioni, soprattutto quelle di Belgrado (dove il margine è minore).
In piazza fino a tardi rimangono soprattutto i più giovani, armati di fischietti e vuvuzelas (che in Serbia per motivi oscuri sono ancora popolari). «Non so cosa succederà ma siamo all’angolo, non abbiamo scelta», dichiara Dimitrije Dimić, studente di Belgrado. Molti di questi ragazzi rivendicano il carattere apartitico della protesta – il nome del movimento è Borba (lotta) – e annunciano che non si fermeranno fino a che non sarà annullato il voto.
A manifestare con loro c’è la principale lista di opposizione, “Serbia contro la violenza”, arrivata seconda in Parlamento (con il ventitré per cento dei voti, la metà dell’Sns) e sconfitta a Belgrado, dove invece sembrava favorita. Un campo largo europeista (una decina di liste di centro, sinistra e ambientaliste), nato come movimento di reazione alle due sparatorie di massa avvenute a maggio in Serbia, una addirittura compiuta da un quattordicenne a scuola. «Non accettiamo il risultato elettorale, perché abbiamo prove che il voto non è stato regolare, tra persone portate a votare e pressioni su alcuni elettori», afferma Vladimir Obradović, candidato sindaco per la capitale per “Serbia contro la violenza”. Su X anche il ministero degli Esteri tedesco ha messo in dubbio la regolarità del voto, scrivendo: «L’Osce (l’organismo Ue presente con alcuni esponenti per controllare la regolarità del voto, ndr) denuncia uso improprio delle risorse pubbliche, intimidazione degli elettori e casi di compravendita di voti. Questo è inaccettabile per un paese con lo status di candidato all’Ue» .
La denuncia dell’opposizione
«Vučić sta perdendo il potere e così ha deciso di importare voti da fuori. Persone che non vivono né lavorano a Belgrado decideranno della nostra vita. Non ho mai visto nulla di simile», dichiara durante una delle proteste Marinika Tepić, un’altra leader di “Serbia contro la violenza”, che ha iniziato uno sciopero della fame insieme a un altro esponente dell’opposizione, Miroslav Aleksić. Anche lei parla di pressioni, soprattutto sui dipendenti pubblici, prima del voto. Di positivo – aggiunge – c’è però il fatto che «per la prima volta i ragazzi cantano “non vi permetteremo di prendere il nostro voto”. Per molto tempo non abbiamo avuto giovani così arrabbiati, ma credo che le due tragedie di maggio abbiano fatto capire loro che devono parlare».
Il presunto dossieraggio
Il secondo giorno delle proteste, martedì 19 dicembre, è stato contrassegnato da alcuni colpi di scena: innanzitutto i presenti erano molti meno del primo giorno. “Colpa” della “Slava” (festa) di San Nicola, molto sentita in Serbia, si giustifica qualche manifestante. A un certo punto, però, via social inizia a rimbalzare un video. Riprende la mano di una donna che scorre delle foto sul cellulare: sono i volti di alcuni degli studenti presenti alla protesta. Tutto accade in tempo reale, mentre la manifestazione è ancora in corso, per cui posso chiedere spiegazioni a uno degli studenti “spiati”, Nikola Ristić: «Quella è la foto del mio passaporto – spiega – un giornale l’ha anche pubblicata a colori, accusandomi di essere un agente al soldo della Germania. Non so come abbiano fatto ad ottenerla». Nei giorni successivi, del caso si sono occupati alcuni media serbi – come Danas – parlando anche di un’altra studentessa, Emilija Milenković, che ha riconosciuto una sua foto nello scrolling “incriminato”. «Se l’obiettivo era intimidirci, non ha funzionato, perché ci hanno solo fatto arrabbiare», la sua risposta.