Mangiare “allo specchio”Cibo per la mente e per il corpo

Un progetto dell’Ospedale San Raffaele aiuta le pazienti oncologiche a ripensare in chiave positiva il rapporto con l’alimentazione

Foto di Fauxels su Pexels

Ammettiamolo, negli ultimi anni (almeno dieci) l’exploit della ristorazione fine dining, il moltiplicarsi di trasmissioni di cucina, cooking show, blog, siti web, piattaforme social, guide e riviste che trattano di cucina-cibo-ristorazione ci hanno assuefatti all’idea che sedersi a tavola sia un po’ l’equivalente del sedersi nella platea di un teatro, pronti ad assistere a uno spettacolo-concerto di cui noi commensali-clienti restiamo semplici spettatori.

Cibo: voce del verbo gourmet?
Sapientemente orchestrato da uno chef-regista, che detta il copione e dirige la cucina, e interpretato in sala da una schiera di maître, camerieri e sommelier, lo spettacolo del pranzo ci si svolge davanti lasciandoci in qualche modo passivi (con l’eccezione, rispetto al teatro o al cinema, che si possono fare le foto!).

La coreografia della tavola, il susseguirsi degli atti del menu, l’aspetto stesso dei piatti e la “morale” delle pietanze, è qualcosa che ci viene garbatamente proposto (ma l’accettazione è implicita nel momento in cui prendiamo posto attorno al desco) o persino, in qualche misura, “imposto” nel momento in cui scegliamo di cimentarci con un menu degustazione. Il nostro compito, se proprio vogliamo esercitare lo spirito critico e non abbandonarci solo al lato godereccio dell’esperienza, è quello di interpretare il percorso, cogliendo il senso che il creatore ha inteso dare alle sue opere, affidando loro la propria idea di cucina.

Contrappassi salutistici: dal cibo al nutrimento
Un po’ per sussiegosa volontà di distinguersi dagli ammiccamenti di gran parte della ristorazione contemporanea, un po’ per suffragato allarmismo nei confronti dell’attuale libertinaggio gastronomico, non manca chi si fa portavoce di austeri movimenti salutistici in cui l’atto del mangiare è spogliato delle sue sovrastrutture culturali e ricondotto alla sua essenza primaria di nutrimento.

Privato dei suoi sovrasensi simbolici, conviviali, storici e sociali, il cibo smette di essere uno strumento di conoscenza e condivisione, un pretesto di aggregazione e godimento, per ridursi a “farmaco”, agglomerato di molecole e atomi da inserire in una dieta costruita come un bilancio di nutrienti, in cui l’elenco dei “più” e “meno” deve dare come risultato finale la salute e il benessere biologico dell’organismo. Possibile?

Nuovi percorsi: riscoperte, ritorni e coccole per il palato e la mente
Trovare un compromesso tra la china del food porn e quella dell’ascetismo più frugale non è sempre facile ma neppure impossibile, e si rende necessario in particolari contesti, in cui “l’arte di mangiar bene” può insospettatamente diventare parte di un percorso di guarigione fisica ed emotiva, un modo per ripensare sé stessi e riequilibrare il rapporto con la vita e con i propri desideri (o con la loro assenza), disinnescando paure immotivate, sensi di colpa, errate convinzioni.

Un atto di ri-scoperta che, soprattutto se avviene in un contesto di “condivisione protetta”, può davvero restituire all’atto del preparare e del gustare il cibo la sua potente funzione aggregativa, contro la solitudine (non solo materiale).

Salute allo specchio: il cibo “da ospedale” diventa speciale
A restituire al cibo questo significato di cura per l’anima e coadiuvante per la cura del corpo ci pensa “Salute allo specchio”, il progetto (nato nel 2013 dall’omonima onlus) ideato dalla professoressa Valentina di Mattei e dalla dottoressa Giorgia Mangili e promosso dall’Irccs Ospedale San Raffaele in collaborazione con l’Università Vita-Salute San Raffaele. L’iniziativa è stata pensata per le donne affette da patologie oncologiche in cura presso l’Ospedale San Raffaele con l’obiettivo di conciliare eccellenza medica e qualità delle terapie con un’attenzione specifica al benessere fisico e psicologico della persona.

Foto di Ismael Sánchez su Pexels

Prevede un programma in più fasi ideato per offrire alle pazienti un supporto concreto nell’affrontare e gestire meglio gli effetti collaterali delle terapie e migliorare la loro qualità di vita, dando rilievo, anche durante il percorso di cura, ad aspetti solitamente trascurati in ambito medico-ospedaliero, come la cura estetica della propria immagine, il riavvicinamento all’attività fisica e – appunto – la riscoperta di un rapporto sano con il cibo.

La dieta della “leggerezza… interiore”!
La cura della sezione di “Salute allo specchio” dedicata al cibo è affidata alle dottoresse Alice Cancellato e Jessica Falcone, che dal 2017 hanno unito le forze per aiutare le pazienti in chemioterapia a migliorare il proprio rapporto con il cibo, sia dal punto di vista della consapevolezza alimentare sia per quanto riguarda gli effetti psicologici connessi alle scelte dietetiche durante le cure.

Anche in questo caso si parte dalla consapevolezza che la salute è uno stato di completo benessere fisico, mentale e sociale, che non coincide con la semplice assenza di malattia o di infermità, e si lavora per donare alle donne oncologiche più “leggerezza”, per guarire ma anche per affrontare la vita finché guarite non sono ancora.

Dal 2017 la dottoressa Alice Cancellato organizza una serie di incontri rivolti alle pazienti «con lo scopo di fornire una consulenza nutrizionale che consenta loro di compiere le scelte migliori per coadiuvare l’efficacia delle cure, contrastarne gli effetti collaterali della chemioterapia, ma anche disinnescare le convinzioni errate e il terrorismo alimentare verso alcuni cibi, che potrebbero compromettere il loro stato di salute e aggravarne la condizione».

La dottoressa Jessica Falcone insegna invece la pratica della mindful eating, ovvero l’applicazione al cibo della mindfulness, la tecnica usata in psicoterapia per favorire il raggiungimento della consapevolezza di sé e della realtà nel momento presente, ovvero la capacità di essere “qui e ora” e di riconoscersi in una data situazione, prestando attenzione all’esperienza vissuta e alle sensazioni che essa suscita, con un atteggiamento non giudicante.

Nel caso specifico del cibo, «Si tratta di incoraggiare le pazienti ad accogliere il cibo abituandosi a utilizzare tutti i cinque sensi per favorire la “consapevolezza enterocettiva”, per non medicalizzare troppo l’alimentazione, per mantenere a 360 gradi il senso (anche piacevole) del momento del pasto e per comprendere e affrontare meglio le variazioni rispetto alla fame e al desiderio o meno di cibo determinate dalla chemio, senza colpevolizzarsi con pensieri come “dovrei mangiare questo” o “non dovrei mangiare quello”, “dovrei sforzarmi” o “dovrei resistere”».

Laboratori per giocare con gusti, colori, consistenze
Il percorso di nutrizione di “Salute allo specchio” prevede laboratori e corsi di cucina pensati per riscoprire il gusto del cibo attraverso una nuova attenzione alla stagionalità, all’abbinamento dei gusti, alla valorizzazione delle consistenze, alla ricerca dell’umami, all’abbinamento dei colori nel piatto, ma anche grazie all’apprendimento dell’uso corretto dei coltelli e degli altri strumenti di cucina, con cui trattare al meglio gli ingredienti e garantirne la massima resa in cottura e al palato.

«Si fa un ampio uso di legumi decorticati e alimenti a base vegetale – spiega la Dottoressa Cancellato – ma questo non ha nulla a che vedere con una presa di posizione a favore dei regimi alimentari vegetariani o vegani; semplicemente ha lo scopo di insegnare e incentivare a usare al meglio in cucina ingredienti dal dimostrato effetto protettivo nei confronti di diverse patologie».

Foto di Ruba Abdulaziz su Pexels

La (ri)scoperta della “normalità”
Nel prossimo futuro riprenderà anche la prassi dei pranzi collettivi, in cui le pazienti potranno gustare insieme ciò che hanno preparato. Insomma tanti piccoli accorgimenti e momenti che possano trasformare il cibo in un’esperienza significativa e a tutto tondo, che stimoli alla riflessione individuale ma invogli anche all’assaggio condiviso, in un clima disteso, piacevole e non medicalizzato, che restituisca al pasto la sua dimensione di “normalità” quotidiana.

«La filosofia ­– sottolinea la dottoressa Falcone – è la stessa che guida gli altri ambiti in cui si declina il progetto “Salute allo Specchio” (con percorsi di trucco, cura dermatologica, acconciatura con parrucche e turbanti, attività fisica): ridare senso e quotidianità a gesti apparentemente banali (come truccarsi, pettinarsi o preparare il pranzo) ma che in una fase di “sospensione” come quella della malattia possono diventare estremamente difficili. Il tutto nella convinzione – scientificamente supportata – che ricreare e mantenere una continuità con la propria “normalità” aiuti il processo di guarigione, dando più motivazione nell’affrontare le terapie e favorendo un ripensamento di sé “nonostante” l’esperienza della malattia».

Insomma, qui come altrove il cibo diventa uno strumento di dialogo con gli altri ma innanzitutto con il proprio corpo e il proprio spirito; un mezzo per sentirsi meglio, per ritrovare il sorriso e riscoprire il desiderio di condividere momenti piacevoli, anche quando la normalità sembra interrotta e la realtà privata di senso.

Il bisogno fisiologico di nutrimento, nel suo imporsi quotidiano senza appello, può trasformarsi in un pretesto, per sentirsi vivi, per non abbandonarsi, per tornare a desiderare.

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