Giulio Andreotti col quel disincantato cinismo che è stato anche dopo di lui l’anima e la tabe della diplomazia italiana, in seguito al crollo del Muro di Berlino, riadattando una battuta di François Mauriac, disse di amare così tanto la Germania che avrebbe preferito ne rimanessero due.
Dava certo voce al timore diffuso (e infondato) che dalla riunificazione tedesca tornassero a sorgere pericoli per l’Europa, ma esprimeva soprattutto un supremo e compiaciuto disprezzo per la libertà, lo stato di diritto e la democrazia, cui milioni di tedesco-orientali avevano sognato per decenni di ricongiungersi, emancipandosi dalla cattività sovietica.
D’altra parte la ostpolitik italiana (e pure quella vaticana) era stata a lungo, non solo e non tanto per l’influenza del Partito comunista italiano, quella di prendere atto della divisione del mondo e dell’Europa come di un fatto in qualche modo naturale o scritto negli astri della storia e di intendere la battaglia per la libertà dei popoli carcerati da Mosca come un ingenuo e costoso sogno a occhi aperti, un inutile contributo di disordine alla stabilità degli equilibri globali.
Non è escluso che prestissimo sentiremo molti presunti amici e sostenitori dell’Ucraina – per intendersi: non i pacifisti della prima ora, quelli dell’ultima – argomentare qualcosa di simile e proporre che, per il bene di tutti e per porre fine ai sanguinosi massacri di questa guerra, sia il caso di rassegnarsi a fare di uno stato due: da una parte un’Ucraina europea – ma mai nella Nato e forse, se e quando a est tornerà la calma, nell’Ue – e dall’altra un’Ucraina russizzata, grosso modo coincidente con il territorio “conquistato” dal 2014 a oggi da Putin.
A chi abbia ascoltato con attenzione il discorso pronunciato dal ministro della Difesa Guido Crosetto in Parlamento mercoledì scorso, sfrondandolo dalla retorica intelligente e accorta, resa ancora più monumentale dallo spettacolo di vergogna e di viltà offerto dal Campo Largo, non può essere sfuggito che il titolare della difesa ha delineato esattamente questa road map negoziale.
«Consentitemi alcune riflessioni finali. La piena integrità territoriale dei confini riconosciuti dell’Ucraina resta l’obiettivo dell’intera comunità internazionale… Al contempo, dobbiamo essere realisti e non possiamo ignorare la situazione militare sul campo che, sebbene si possa, al momento, considerare in equilibrio, disegna una geografia politica diversa da quella del gennaio 2022… Se la prospettiva di un nuovo inverno di guerra preoccupa la popolazione ucraina, parimenti i Paesi occidentali non sono indifferenti a tale scenario, con particolare attenzione alla sensibilità delle nostre opinioni pubbliche. In quest’ottica, come ho accennato, parrebbe giunto il momento per un’incisiva azione diplomatica che affianchi gli aiuti che stiamo portando avanti, perché si rilevano una serie di segnali importanti che giungono da entrambe le parti in causa. Le dichiarazioni di diversi interlocutori da parte russa evidenziano una lenta e progressiva maturazione di una disponibilità al dialogo per porre fine alla guerra, lasciando intravedere l’ipotesi di ripristinare rapporti ai consessi che in passato hanno agito con efficacia per prevenire e risolvere crisi e tensioni internazionali… In Ucraina il fronte interno appare meno compatto che nel passato nel sostenere la politica del Presidente Zelensky, evidenziando alcune divergenze nella dialettica politica, finora impegnata in uno sforzo militare totale orientato a respingere senza alcun compromesso l’invasione russa. Tutto questo deve essere tenuto in considerazione – dobbiamo farlo – nel percorso di avvicinamento alle trattative per l’interruzione del conflitto e per il successivo processo di normalizzazione dei rapporti non solo tra Russia e Ucraina, ma anche con i Paesi occidentali».
Chiaro, no? Visto che né i russi hanno preso tutto quello che volevano, né gli ucraini riconquistato quello che speravano e visto che non si può pretendere che una guerra di logoramento sia troppo a lungo sostenuta in Europa, e neppure nell’Ucraina che dipende dai sostegni finanziari europei, allora prendiamo atto che è meglio far punto dove stiamo e così arrivare alla (testuale) «normalizzazione dei rapporti non solo tra Russia e Ucraina, ma anche con i Paesi occidentali».
Il presupposto di questa analisi è che la vittoria di Putin, che terrebbe buona parte dei territori che ha già formalmente annesso e la trasformazione di un’Ucraina sbocconcellata in un protettorato misto russo-europeo sarebbe una condizione realistica e accettabile non diciamo per la libertà e la sovranità ucraina (ché i principi di diritto andreottianamente non rilevano), ma almeno per la stabilità e la sicurezza dell’Ue.
Nella logica onirico-lisergica di questi realisti rotti a tutte le esperienze, il premio di una pace speciale alla cosiddetta operazione speciale non costituirebbe per Putin un incentivo a riprovarci e a rilanciare la sua competizione ideologica, militare e strategica con l’Europa (sperando magari che dall’altra parte dell’Atlantico rivinca il suo compare Trump), ma lo bromurizzerebbe d’incanto, riportando indietro la macchina della storia, magari ai tempi di Pratica di Mare o gli farebbe almeno sbollire la rabbia dell’affronto ucraino, persuadendolo a più miti consigli.
Quest’idea della pace possibile condivide peraltro con quella del sostegno minimo all’Ucraina – sostegno sì, ma non esageriamo – la convinzione suicidaria che la sfida russa non abbia un carattere esistenziale per l’Europa, né epocale per gli equilibri del mondo libero. Anche in settori politici non esplicitamente pacifisti né direttamente compromessi con il regime putiniano non sembra avvertirsi l’eclatante sproporzione tra la posta in gioco e le risorse investite per conseguirla.
Secondo le stime del Kiel Institute dall’inizio della guerra al 31 ottobre 2023, la Ue, i suoi stati membri e gli Stati Uniti hanno destinato aiuti militari o di altro tipo all’Ucraina per poco meno di duecentocinque miliardi di euro. Moltissimi paesi europei tra cui l’Italia, la Francia, la Spagna e il Belgio hanno speso in aiuti bilaterali per l’Ucraina meno dello 0,1 per cento del Prodotto interno lordo, pochi hanno raggiunto lo 0,5 per cento, pochissimi l’1 per cento. Sembrano costi di guerra?
Per immaginare una pace diversa da una resa fintamente salomonica bisognerebbe essere capaci di pensare che la difesa dell’Ucraina è l’autodifesa dell’Europa e che ogni pezzo di Ucraina perduto alla sovranità dei suoi cittadini è un pezzo perduto di sovranità europea. Però di questo pensiero tragico e autenticamente realistico la gran parte della politica, dell’informazione e (quindi) dell’opinione pubblica italiana ed europea non è con ogni evidenza all’altezza.