Alberi che nascono dagli alberi. Risparmiare suolo, non abbattere piante senza almeno sostituirle e sfruttare le aree boscose senza distruggerle, sono ormai l’Abc della tutela ambientale. Ed ecco che dal Giappone arriva e torna d’attualità il daisugi, una tecnica di coltivazione unica che combina l’arte dell’innesto con la gestione delle foreste per produrre legname pregiato in modo sostenibile, senza sacrificare nemmeno un tronco.
La storia, che come spesso accade nel lontano Oriente, combina saperi molto pratici e aspirazioni spirituali, comincia nel XIV secolo a Kitayama, un villaggio di seicento abitanti vicino a Kyoto. Una zona aspra, come spesso accade nel Paese asiatico, con monti e pendii troppo ripidi e rocciosi per praticare seriamente la silvicoltura estensiva, ma affamata di legno, come il resto del Giappone.
Legno di qualità per costruire sale da tè e ricche case tradizionali adorne di travi e colonne lisce e perfette, per adempiere alle regole del sukiya-zukuri, uno stile che richiedeva tronchi dritti e affusolati per rinnovare templi e santuari buddisti, millenari ma regolarmente riedificati. In particolare, era ricercato il fusto centrale del cedro rosso giapponese – “sugi” significa cedro, la parola “dai” tavola – l’unico albero giudicato degno per costituire i pilastri della nicchia del tokonoma, sancta-sanctorum dell’abitazione, davanti alla quale far sedere l’ospite.
Oggi quella regione, con i villaggi di Takagamine, Takao, Kumogahata e Kitayama, è una sorta di museo all’aria aperta di quest’arte, parente di quella, notissima, dei bonsai, ma usata per ottenere piante molto grandi invece che molto piccole. Gli esemplari millenari di queste “foreste a due piani” sono diventati anche un’attrazione dei giardini ornamentali zen, dove rappresentano l’armonia tra l’uomo e la natura.
Il procedimento è semplice, anche se non veloce: si seleziona un cedro adulto sano e vigoroso che servirà da “madre” per la successiva generazione di alberi. Sui rami superiori vengono innestate le piantine in modo che abbiano una posizione ottimale per la crescita, ricevendo direttamente la luce del sole. Questi nuovi germogli sviluppano un legno perfettamente uniforme, denso, dritto e completamente privo di nodi, più flessibile del quaranta per cento e due volte più resistente rispetto agli altri tipi di legname ottenuto con metodi classici.
Ogni due anni, i rami inferiori dell’albero madre vengono potati a mano per incoraggiare la crescita verticale di quelli superiori, creando il caratteristico aspetto a forma di coppa che caratterizza il daisugi. Dopo una ventina d’anni, i nuovi fusti sono pronti per la raccolta: da ogni singolo albero possono nascere fino a un centinaio di germogli alla volta, che producono pregiato legno “taruki” per duecento-trecento anni prima di esaurirsi. Nel corso del tempo, la domanda di legname prodotto con questa tecnica è diminuita notevolmente, e con essa il numero di artigiani capaci di praticarla correttamente, senza indebolire il fusto. Ma non è mai tramontata del tutto e oggi, in momenti di allarme ambientale, sta conoscendo una nuova popolarità.
Ad esempio nel rimboschimento delle zone colpite da tifoni e, grazie all’eccezionale flessibilità, nella realizzazione di travi e soffitti antisismici, oltre che per la produzione di strumenti musicali, utensili, mobili e micro case, abitazioni prefabbricate portatili studiate per avere il minimo impatto sull’ambiente.
La deforestazione causata dallo sfruttamento intensivo del suolo per l’agricoltura e per le esigenze delle industrie del legno e della carta, infatti, è storicamente un allarme ricorrente in Giappone – l’ultima crisi è avvenuta durante la Seconda guerra mondiale – che negli anni Novanta ha portato a leggi molto severe come il Forest act, che tutela quasi la metà delle aree boscose del Paese, con norme molto restrittive sull’abbattimento degli alberi, che richiede sempre una comunicazione ed è soggetta al rilascio di un permesso da parte della prefettura.