Al quinto Consiglio di attuazione della trasformazione verde (Gx) tenutosi a dicembre 2022, il governo Kishida ha adottato un documento intitolato “Politica di base per la realizzazione della Gx”, che come è noto definisce la risposta dell’esecutivo alla doppia crisi che il Paese si trova ad affrontare, quella climatica e quella energetica.
Tale politica modifica l’approccio seguito dal Giappone a seguito del disastro nucleare del 2011. Adesso, la priorità del governo è ripristinare l’energia nucleare. Ridurne il più possibile la dipendenza era stato invece il principio cardine che aveva orientato le scelte del Giappone in materia di energia dall’incidente di Fukushima Daiichi. E dal 2011 in poi nessun governo aveva menzionato l’ipotesi di costruire altri reattori.
La strategia dell’attuale esecutivo punta, al contrario, a costruirne di nuovi e a prolungare la vita di quelli esistenti, consentendo il funzionamento per più di sessant’anni, escluso il periodo di spegnimento. La politica di base del Gx afferma che l’energia nucleare svolge un ruolo vitale nell’approvvigionamento energetico nazionale e per il raggiungimento dell’obiettivo delle “emissioni zero” entro il 2050.
Altre questioni indicate da Tokyo quali ragioni che avrebbero spinto a modificare le politiche precedenti sono state l’aumento dei prezzi dell’energia elettrica dovuto alla guerra in Ucraina e il desiderio di ridurre la dipendenza dai combustibili fossili. Tuttavia, secondo molti osservatori sia nazionali che non, il governo Kishida dovrebbe essere più chiaro riguardo le modalità in cui intende perseguire tali scopi.
La strategia fondata sul nucleare pone seri dubbi di fattibilità. Attualmente, il Giappone dispone di nove reattori funzionanti capaci di garantire il sette per cento della produzione totale di energia. Se dopo il 2050 anche solo il dieci per cento dell’elettricità del Giappone sarà fornita dal nucleare, per allora dovranno essere costruiti più di dieci nuovi reattori con costi molto elevati.
Inoltre, anche le misure necessarie a riavviare gli impianti già esistenti sono estremamente costose e richiedono ispezioni molto scrupolose e lunghe. Un altro problema non da poco è lo smaltimento delle scorie radioattive, per il quale il governo Kishida non ha fornito un piano adeguato. La questione è annosa e il Giappone si trova a dover gestire grandi quantità di plutonio accumulate nel tempo.
Secondo la rete di organizzazioni Fossil free Japan, la “Strategia Gx” del Giappone punta ancora troppo sui combustibili fossili. Per gli attivisti, la co-combustione di idrogeno e ammoniaca e il Gnl (Gas naturale liquefatto) sono misure superficiali e non risolutive. Anche gli scienziati hanno bocciato i piani giapponesi. Sebbene l’ammoniaca di per sé non sia un gas serra, la sua produzione dipende fortemente dai combustibili fossili e non è ancora commercialmente sostenibile.
Inoltre, gli esperti del settore hanno più volte avvertito che il carbone deve essere eliminato rapidamente se il mondo vuole rispettare l’accordo di Parigi e limitare l’aumento della temperatura globale al di sotto di due gradi (rispetto ai livelli preindustriali) e idealmente di 1,5 gradi. L’argomento ha anche diviso il Giappone dal resto dei membri del G7, riuniti a Sapporo nel mese di aprile 2023.
Ancora, la strategia energetica del governo prevede la cattura e lo stoccaggio di oltre trecento milioni di tonnellate di CO2 entro il 2050. Come ha sottolineato il Renewable energy institute, think tank di Tokyo, ammesso che la cattura fosse possibile, non ci sarebbe nessun posto dove immagazzinare tale quantità di anidride carbonica. Il governo ha indicato che esporterà e immagazzinerà CO2 nel Sudest asiatico, ma la proposta non sembra sia stata ancora accettata a livello internazionale.
Sempre secondo il Renewable energy institute, nella GX Basic Policy manca una chiara strategia per porre le rinnovabili al centro della domanda e dell’offerta energetica del Giappone. Sebbene il nuovo piano del governo preveda che le energie rinnovabili diventeranno la principale fonte di energia, la quota auspicata per l’anno fiscale 2030 non è cambiata rispetto al trentasei-trentotto per cento fissato nel piano energetico di base del 2021.
Il Giappone è la sesta nazione al mondo per estensione delle acque territoriali e, nelle intenzioni, punta a diventare uno dei principali produttori mondiali di energia eolica offshore, unendosi a Cina e Regno Unito. L’eolico offshore potrebbe davvero essere la soluzione al problema della sicurezza energetica di Tokyo. Le società giapponesi hanno impianti eolici in mare da Taiwan al Belgio e nel Regno Unito, ma non hanno ancora costruito turbine su larga scala in patria. In questo caso, l’ostacolo consiste nel trovare un modo per trasferire l’energia raccolta alle grandi città. A livello teorico, la quantità totale di elettricità annuale che potrebbe essere generata introducendo l’eolico offshore in Giappone (3.460 terawattora) potrebbe essere oltre tre volte maggiore del’’elettricità utilizzata dal Paese nel 2020 (905 TWh).
Un’altra speranza potrebbe arrivare dall’energia marina. Negli ultimi dieci anni, Ihi Corporation ha sviluppato Kairyu, un generatore da cento kilowatt in grado di sfruttare la potenza delle correnti oceaniche. A febbraio 2022, la società di ingegneria di Tokyo ha completato con successo il test di una turbina sottomarina, effettuato nelle acque del sud-ovest dell’arcipelago e durato tre anni e mezzo. Ihi ritiene che il sistema, pronto all’uso commerciale, abbia spianato la strada a un uso più ampio dell’energia prodotta dalle correnti oceaniche in acque profonde.
Kairyu è un’enorme turbina, simile a un aeroplano, che include due ventole controrotanti e un’unità di alloggiamento centrale contenente un sistema di regolazione dell’assetto. Il sistema prevede l’uso di una turbina posizionata sul fondo dell’oceano, dove è possibile sfruttare correnti stabili di acque profonde che si muovono con poche fluttuazioni di velocità e direzione.
Ruotando in direzioni opposte, le due pale della turbina annullano la forza in grado di far ruotare l’oggetto attorno a un asse e consentono quindi al generatore di mantenere una posizione stabile sott’acqua. Il prototipo da trecentotrenta tonnellate è stato progettato per essere ancorato al fondale marino a una profondità di circa trenta-cinquanta metri.
Il sistema potrebbe fornire energia quasi illimitata grazie al flusso costante della corrente oceanica. L’energia prodotta dall’eolico, dal fotovoltaico e delle maree garantisce un fattore di capacità, vale a dire un rapporto tra energia elettrica effettivamente prodotta in un determinato periodo di tempo e potenza di generazione nominale dell’impianto, che va dal dieci al quaranta per cento.
Secondo le stime di Ihi, invece, il fattore di capacità della corrente oceanica varia dal quanta al settanta per cento. Il sistema Kairyu è stato pensato per il dispiegamento nella corrente di Kuroshio, localizzata lungo la costa orientale del Giappone nonché una delle più potenti al mondo. Secondo la New energy and industrial technology development organization, la corrente di Kuroshio da sola potrebbe generare duecento gigawatt di energia tramite turbine sommerse, vale a dire quasi il sessanta per cento dell’attuale capacità di generazione nazionale, calcola Bloomberg. Il progetto dovrebbe poter davvero diventare attivo e funzionante non prima del prossimo decennio.