«Ma quanto sei boomer!» è il rimprovero sconsolato che un genitore sessantenne, e oltre, può subire con frequenza nelle interazioni non sempre semplicissime con un figlio trentenne, e oltre.
Tra i tanti steccati che dividono le tre generazioni oggi su piazza, cioè i boomer, i millennial e i giovanissimi della generazione zeta, ne sta emergendo uno nuovo, ancora implicito, forse inconscio, ma importante: la guerra.
Noi boomer, nati a partire dagli anni cinquanta, siamo cresciuti in famiglie che avevano ancora la guerra e i bombardamenti nella pelle, nelle orecchie. Abbiamo avuto genitori e zii che ci raccontavano di sfollamenti, rifugi, sirene, rumore di aerei di notte. E ascoltavamo questi racconti come storie popolate di disavventure e di personaggi cattivi che però, come i film di allora, finivano bene. Ed era vero: la storia, per i boomer dei Paesi ricchi, è finita bene. Le guerre successive al massimo le vedevamo in televisione e comunque non erano minaccia vicina.
Oggi nel mondo nel quale sono diventati adulti i millennial, nati a ridosso del duemila, e stanno per diventarlo i gen zeta, le cose stanno cambiando. C’è guerra nel cuore dell’Europa, i “cattivi” nel mondo sono tanti, diventano sempre più armati e minacciosi e l’idea di subire un’aggressione diretta, in qualche forma, da potenze ostili, non è più inconcepibile.
In vista delle elezioni europee, alcuni gruppi di iniziativa civica ed europeista, Per l’Italia con l’Europa, Centro Brera, The Mill, Milano per Renew Europe e Adesso.news, hanno promosso una ricerca per capire meglio cosa c’è nella testa e nella pancia dei più giovani su queste cose. Affidato alla società di ricerche Dscovr, lo studio si è rivolto a un campione di mille giovani in età tra i 18 e i 35 anni, distribuiti tra nord, centro e sud.
I risultati non mancano di segnali su cui riflettere. Il primo è che nelle due generazioni junior c’è una fiducia ampia, che sembra essere scontata, verso l’Europa, ma non c’è contezza della sua divisione e debolezza come potenza politica. Poco meno dell’80 per cento degli intervistati è convinto che non occorra una difesa comune europea.
Secondo segnale, sorprendente, quasi il 90 per cento ritiene possibile/probabile che la guerra arrivi materialmente in Europa nei prossimi cinque anni; ma ritiene anche che a difendere noi europei debba pensarci in primis la diplomazia (42 per cento) poi la Nato o i singoli Stati (34 per cento) e solo il 24 per cento pensa che serva un esercito comune europeo.
Il terzo messaggio, trasversale ai numeri, sembra essere che sia fallita la narrazione dell’Europa come entità non solo economico-culturale ma anche politica. C’è l’Erasmus, si gira per l’Europa come nel cortile di casa, ci sono i fondi europei, ma non aspettiamoci di essere governati (e difesi) sul serio dall’Europa.
E intanto attorno a noi, a prescindere dall’anagrafe, le cose stanno cambiando davvero e non si capisce che sbocchi avrà il nuovo disordine mondiale. La disoccidentalizzazione , i Brics, il 7 ottobre, Gaza, i nuovi assi del male, Putin che vince, Trump che vince: viviamo in un incrocio tra incubo e cronaca. E la sensazione è che non ci sia in giro gran voglia di parlare di queste cose.
Invece parlare, approfondire, serve, responsabilizza. Per questo Milano per Renew Europe ha organizzato per lunedì 22 gennaio alle 18,30 al Teatro Parenti di Milano, l’incontro su “L’Europa, le guerre, la difesa, la pace: dialogo tra generazioni”. Sul palco si confronteranno esperti senior, Lorenzo Guerini e Antonio Missiroli, e leader di associazioni e movimenti giovanili: il giovane dem Nicolò Radice, il promotore di NOS Alessandro Tommasi, la scout Chiara Nicolai e il direttore di Adesso.news Tomaso Greco. A provocarli e coordinarli sarà Giulia Pompili del Foglio.