L’anti MélenchonGlucksmann è l’ultima speranza dei socialisti per tornare a contare nella politica francese

L’eurodeputato ha consolidato negli anni una posizione fermamente europeista, riformista e moderata. Le sue campagne in opposizione a Putin, e il suo background intellettuale e politico, lo pongono come un candidato attraente per rilanciare alle europee il partito socialista francese, da anni in declino e ostaggio del rossobrunismo

LaPresse

Se siete tra quelli che pensano che la sinistra moderata e moderna sia finita, che sia destinata a non avere più spazio e a rimanere stritolata tra il rossobrunismo populista e l’urbanesimo spinto che preferisce le battaglie culturali a quelle sociali, allora mettetevi comodi. Perché, forse, in Francia qualcosa si sta muovendo. E questo qualcosa si chiama Raphaël Glucksmann. Intellettuale, giornalista, documentarista di estrazione molto alto borghese, (è figlio del filosofo e intellettuale André, una delle voci più ascoltate della Francia del secondo Novecento), Glucksmann oggi è europarlamentare nelle fila dei Socialisti e Democratici e presidente della commissione speciale del Parlamento sull’ingerenza straniera in tutti i processi democratici nell’Unione europea. Nel futuro prossimo vorrebbe essere capolista della lista dei socialisti francesi alle europee. Se la notizia trovasse conferma, e se i compagni francesi non dovessero finire con l’incartarsi ancora, si tratterebbe di un’enorme boccata d’aria per il senescente e tremebondo partito socialista francese.

Per capire perché, occorre mettere a fuoco due cose. La prima è la situazione della sinistra francese; la seconda è la figura di Glucksmann. Per quel che riguarda il partito socialista francese, occorre ricordare che per quasi tutto il Novecento è stato un colosso nelle politiche d’oltralpe, ha espresso svariati primi ministri e ben due presidenti della Repubblica: uno di enorme popolarità e caratura, François Mitterrand, l’altro decisamente meno, François Hollande. 

Proprio dopo l’inconcludente quinquennio di presidenza di quest’ultimo, il Ps (o meglio: il suo elettorato) si è sfilacciato. Buona parte dei voti è confluita nel partito centrista di Emmanuel Macron, un’altra si è spostata a sinistra in un nuovo soggetto più a sinistra: La France Insoumise di Jean Luc Mélenchon. Solo in pochissimi sono rimasti nel partito a fare la guardia a un fortino che non esisteva più. Così, di fatto ininfluente nella politica francese dal 2017, il partito socialista ha visto la sua stella offuscarsi definitivamente al primo turno delle presidenziali del 2022 quando la pur forte candidata, Anne Hidalgo, sindaca di Parigi, non ha superato l’1,75 per cento dei voti. 

Poche settimane dopo, in vista delle elezioni legislative e in cerca di una zattera in mezzo al mare, i socialisti, o quel che ne rimaneva, per sopravvivere hanno acconsentito ad aderire al cartello elettorale di tutte le sinistre Nupes (Nuova unione popolare ecologica e sociale) guidato da Jean Luc Mélenchon. Mélenchon, va detto, più che un socialista è un populista: anti americano, anti Nato e anti Ue, insomma una figura che con la sinistra europeista e moderna cui aspirava il Ps aveva poco o nulla a che fare. Eppure, il suo carisma elettorale è notevole, tanto che quelle elezioni Nupes le ha di fatto vinte, arrivando secondo solo di un soffio, garantendo agli spacciati socialisti di entrare, comunque, in Parlamento. 

Il successo però è stato tanto elettoralmente clamoroso, quanto politicamente effimero: i vari gruppi confluiti in Nupes non si sono mai pigliati, e il leader Mélenchon non ha mai nascosto di disprezzare i suoi compagni di avventura, considerandosi lui solo, il depositario del verbo degli elettori e della sinistra più autentica. Così, dopo mesi di liti, il cartello si è definitivamente sciolto e i tre partiti (La France Insoumise, i Socialisti e i Verdi) sono tornati ognuno per la sua strada, a navigare a vista tra il centrismo di Macron e la nuova destra di Le Pen.

In questo quadro sconquassato si inserisce la figura (e la speranza) di Glucksmann. Da molti considerato l’anti Macron, Glucksmann, ha molti punti in comune con il presidente. Come lui ha poco più di quarant‘anni, come lui ha frequentato il liceo d’élite, l’Henry IV, come lui è profondissimamente europeista.

In realtà le affinità tra i due finiscono qui, dal momento che Glucksmann non ha mai fatto mistero di non amare molto il presidente e, anzi, di averlo sempre votato solo al secondo turno e solo perchè l’alternativa era Marine Le Pen. Anzi, nel 2019 ha rinunciato alla direzione del Nouveau Magazine littéraire poiché riteneva che la rivista fosse troppo filo macroniana.

Al di là di questo, però, il punto è che se si dovesse riassumere la storia politica di Glucksmann con una solo parola, probabilmente, quella più adatta sarebbe “antiputiniano”. Perché in qualunque punto della sua eclettica vita si guardi lo si trova sempre dalla parte opposta a quella di Vladimir Putin. 

Nel 2009, per esempio, si è trasferito in Georgia per fare da consigliere del presidente Mikheil Saak’ashvili, lo stesso che meno di un anno prima si era ritrovato a guidare un paese aggredito dalla Russia per una disputa territoriale (suona familiare?). Poi, ha sposato Eka Zgouladze, ministro dell’interno prima in Georgia e poi, dopo un cambio di cittadinanza, in Ucraina ai tempi del governo di Petro Poroshenko. In quel periodo, Glucksmann, era tra i manifestanti di Euromaidan, convinto, già dieci anni fa, che il posto dell’Ucraina fosse in Europa e, soprattutto, il più lontano possibile dalla sfera d’influenza di Vladimir Putin. Proprio dopo Euromaidan, Glucksmann torna in Francia, convinto che il posto dove davvero bolle la pentola dell’antieuropeismo e della destra filo putiniana sia proprio l’Europa. 

Nel 2019, ha provato a lanciare una sua lista, Place Publique, con la quale provare a unire la sinistra riformista e ambientalista ma non insoumise, ossia che non si sentiva rappresentata dal fumantino e populista Jean Luc Mélenchon. L’esperimento va così così (sei per cento) ma consente a Glucksmann di accedere al Parlamento di Strasburgo. 

Oggi, anche se sono passati cinque anni, siamo più o meno allo stesso punto di prima: i socialisti corrono da soli e hanno per ambizione massima la sopravvivenza, la Francia tende a destra, l’Europa appare fragile e minacciata. Eppure, rispetto a pochi mesi fa, qualche differenza c’è. La popolarità di Mélenchon, nel frattempo è crollata. Non solo: il recente spostamento a destra di Macron ha deluso una parte dei suoi elettori che provenivano dal partito socialista.

Fino a che l’unica alternativa a sinistra al macronismo era la Nupes egemonizzata da Mélenchon, l’ipotesi di mollare Macron, per gli ex socialisti, non era nemmeno contemplata. Ora che l’ipotesi Nupes è scomparsa è che i socialisti sembrano tornati in scena, parte dei voti orfani della sfumatura sinistrorsa del macronismo, potrebbero tornare a casa. I sondaggi dicono che si può fare, anche se la via è stretta: i socialisti sono al dieci per cento (il massimo dal 2017 a oggi) i verdi all’otto per cento e la France Insoumise al sei per cento. 

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