Tre mesi dopo il brutale pogrom di Hamas del 7 ottobre e la successiva risposta militare di Israele nella Striscia di Gaza per neutralizzare i terroristi, il Medio Oriente è un subbuglio con attentati ed esplosioni di violenza in Siria, Libano, Cisgiordania e Mar Rosso per non parlare del crescente fenomeno dell’antisemitismo in Europa e negli Stati Uniti. In una intervista al Corriere della Sera il politologo Ian Bremmer spiega che il problema è che solamente gli Stati Uniti sta cercando di evitare una escalation che porti a una guerra: «Ma è sola. O, almeno, molto più sola di quanto non fosse quando Putin ha attaccato l’Ucraina». Biden «è personalmente convinto della necessità di continuare a sostenere Israele pur non condividendo quello che sta facendo, ma la sua azione è indebolita dall’opposizione a questo appoggio e al “no” al cessate il fuoco di buona parte del suo partito, di gran parte dei giovani americani e anche di alcuni nello staff della Casa Bianca».
Il Segretario di Stato americano Antony Blinken ha iniziato un viaggio diplomatico di cinque giorni in Giordania, Emirati Arabi Uniti, Arabia Saudita e Qatar, cercando di evitare una guerra più ampia nella regione. Questa settimana visiterà anche la Cisgiordania e l’Egitto. «È un momento di profonda tensione per la regione. È un conflitto che potrebbe facilmente incancrenirsi, causando ancora più insicurezza e sofferenza», ha dichiarato Blinken in una conferenza stampa a Doha prima di recarsi ad Abu Dhabi.
Secondo Bremmer Troppi attori della regione che hanno interesse a rendere lo scontro sempre più cruento anche a costo di perdere il controllo della situazione. «Hamas non ha nulla da perdere, sapendo che Israele vuole annientarla, e quindi tenta di fare più danni possibili, anche se le sue capacità militari sono ormai ridotte. I ribelli Houthi continueranno ad attaccare le istallazioni militari americane. L’Iran non si farà coinvolgere direttamente e non vuole una guerra, ma non li frenerà più di tanto. E poi c’è Israele: ora vuole andare fino in fondo con tutti quelli che non riconoscono il diritto alla sua esistenza. Restare in assetto di guerra potrebbe non dispiacere più di tanto a Netanyahu, visto che quando tornerà la pace lui dovrà sicuramente lasciare la guida del governo e potrebbe anche finire in prigione».