Panama, Italia Cocktail con la pistola e altre citazioni utili per il 2024

Speriamo che il dibattito pubblico smetta d’essere così profondamente imbecille e che, un attimo prima di percepirvi martiri, vi venga il dubbio che forse siete solo incapaci

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A cosa diavolo serviranno gli auguri di buon anno, un anno nuovo è «solo un altro balzo verso la morte». Lo scriveva, ventunenne, quell’allegrone di Ernest Hemingway, che incredibilmente avrebbe sopportato altri quaranta veglioni prima di spararsi.

Sto pensando da quattro giorni a quale 2024 augurarvi (preoccupazioni di chi non ne ha di più serie). Avevo optato per un anno in linea con questa paginetta, in cui «aver le tasche piene, e non solo i coglioni». Ma era prima.

Prima che un veglione più da spararsi degli altri rendesse evidente la qualità panamense dell’anno a venire: «Di andare ai cocktail con la pistola non ne posso più». La strofa successiva era d’altra parte già presente nelle cronache da anni: «Di trafficanti e rifugiati ne ho già piena la vita».

Quattro giorni fa, prima di sapere che stavamo entrando in un anno già scritto in una canzone del 1977, ho fatto il mio primo augurio di buon anno. Era la tarda mattinata del 31 dicembre, ero in fila assieme a decine di stronzi come me, di stronzi che la mattina del 31 si accorgono che manca qualcosa per la sera, e vanno al supermercato, in farmacia, al negozio di pasta fresca o in enoteca, e fanno file interminabili tra stronzi come loro, non in grado di organizzarsi per tempo come loro.

La cassiera era probabilmente lì da quattro ore, quattro ore a smaltire stronzi che sbuffavano per file da loro stessi creati, per tempo perduto che si erano impegnati a voler perdere, per incapacità di rinunciare al concentrato di pomodoro o alla curcuma o ad altre amenità senza le quali mica si può cenare, come avevamo fatto a scordarcene.

Era lì a cercare di sedare risse tra tizie col cane alla cassa carte di credito che dicono che loro hanno solo contanti, e comunque dovrebbero farle passare perché hanno solo due cose, e altre tizie senza cane e senza contanti, ma altrettanto stronze, che dicono «abbiamo tutti due cose» con tutta la fermezza che non hanno nel chiedere l’aumento al lavoro.

«Le auguro un anno in cui la gente faccia la spesa di capodanno in anticipo», ho detto compiacendomi di quanto mi sentivo empatica, e la cassiera mi ha sorriso con la cordialità professionale di chi è abituata a non mostrare la voglia di sparare a te o a tuo genero, di chi pensa «chissà le facce, sapessero di agitarsi su una polveriera».

Il primo dell’anno ero ancora lì che m’interrogavo su quale 2024 vi meritaste, mentre mi approfittavo del vivere nel migliore dei mondi possibili se sei una donna, e lo facevo telefonando a chiunque. C’è stato un tempo – quando avevo venti o trent’anni io, mica sette secoli fa – in cui le donne non potevano telefonare la mattina di capodanno. Diceva la saggezza popolare che, se alla prima telefonata cui rispondevi trovavi dall’altra parte una voce femminile, era sfortuna tutto l’anno.

Era la regola anche per gli incontri: se uscendo di casa incrociavi innanzitutto una donna, valeva come gatto nero. Pensa oggi il casino che pianterebbero a ogni primo gennaio su Instagram, le urla al patriarcato, i reclami in doppiaggese. Invece, nonostante nel frattempo siano stati inventati telefoni su cui si vede chi ti sta chiamando, lunedì mattina mi hanno risposto tutti (plausibilmente dopo aver sospirato «della francese che si sente sola non ne posso più»).

Poiché non solo nella sfortuna arrecata dalle femmine ho smesso io di credere crescendo, ma anche nel binomio capodanno/tutto l’anno, che ingiungeva accoppiamenti controvoglia e orrende mutande rosse d’acrilico, non mi sono preoccupata che i consumi culturali del primo dell’anno colassero poi su trecentosessantacinque mattine, e ho recuperato l’intervista che Fabio Fazio aveva dato al marito della Ferragni.

A un certo punto Fazio racconta di quando, lui ventenne, un signore in Rai gli tagliava certe battute, e lui si beava d’essere scomodo e censurato, ma «erano solo brutte». Vi auguro un anno in cui, un attimo prima di percepirvi martiri, vi venga il dubbio che forse siete solo incapaci.

Oppure vi auguro un anno con l’autostima ipertrofica di Dave Chappelle, che è così sicuro d’essere il più figo del mondo da lasciare che Netflix distribuisca il suo (deboluccio) “The Dreamer” sei giorni dopo l’“Armageddon” di Ricky Gervais, cioè il monologo comico più atteso della stagione. Vi auguro un anno in cui avere la resa media d’uno Chappelle deludente, che è comunque centoventi grandezze sopra quella d’uno medio al massimo della sua forma.

Vi auguro un anno in cui il dibattito pubblico non dico rinsavisca (vaste programme), ma almeno smetta d’essere così profondamente imbecille da discutere per giorni di quali ambizioni vadano ordinate alle diciottenni, se partorire o diventare Rita Levi Montalcini, come se le ambizioni si potessero ordinare, come se i partiti fossero modelli comportamentali, come alle diciottenni fregasse qualcosa di cosa la Mennuni o Elly Schlein pensano debbano fare.

(Nel caso, comunque, vince come sempre la destra: partorire è alla portata di pressoché tutte, essere Rita Levi Montalcini di pressoché nessuna. Vi auguro un anno in cui la sinistra di Instagram smetta di fomentare la mitomania dell’elettorato, che già si percepisce Chappelle essendo Pistarino, ci manca solo si percepiscano premi Nobel potenziali che se non ottengono il risultato è perché i sessantenni gli hanno arrubbato il futuro).

Vi auguro un anno in cui la concorrenza sia così portata a inciampare nei propri piedi da rendere semplice trionfare: organizzare una cena festiva riuscita è facilissimo, se la soglia della sufficienza è «che nessuno si metta a sparare a casaccio»; dire una cosa più sveglia di «rendere la maternità cool» è facilissimo, se non sei la sinistra di Instagram.

Vi auguro un anno in cui Chiara Ferragni continui a svolgere il suo ruolo di ammortizzatore sociale facendovi sentire superiori: più etici, meno scrocconi, meglio vestiti.

Vi auguro un anno in cui la politica si renda utile mettendo una moratoria sulle citazioni di Orwell: sì, sono quarant’anni dall’anno d’ambientazione di “1984”, sono settantacinque dalla pubblicazione, ma possiamo far finta di niente?

Vi auguro un anno, se siete sotto scorta, in cui la scorta non si porti i parenti al lavoro, e le clienti dei posti in cui c’è cibo non si portino i cani, e le ospiti alle vostre cene non si portino i bambini.

Vi auguro un anno con le facce di chi sa di agitarsi sopra una polveriera – vostre, o da rimirare.

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