Ago della bilanciaLa transizione energetica secondo il neo presidente di Taiwan

Il “no” del Partito progressista democratico al nucleare è una posizione storica: Lai Ching-te punta molto sulle rinnovabili, in particolare l’eolico offshore. Ma per l’opposizione non è abbastanza per garantire la sicurezza energetica dell’isola, già vulnerabile agli effetti del cambiamento climatico

AP Photo/LaPresse (ph. Chiang Ying-ying)

Non solo, e non tanto, il budget di difesa. Ma anche e soprattutto le politiche energetiche. Il risultato delle elezioni di Taiwan del 13 gennaio, più frammentato di quanto potrebbe sembrare a prima vista, pone alcune incognite sulla futura direzione dell’isola democratica rivendicata dalla Cina. Lai Ching-te del Partito progressista democratico (Dpp) guiderà il governo dopo aver vinto le presidenziali, ma non avrà la maggioranza parlamentare, visto che le legislative hanno visto la sconfitta della formazione tradizionalmente filo-indipendentista (ma negli ultimi anni ripiegata sulla tutela dello status quo, dunque niente unificazione ma nemmeno dichiarazione di indipendenza come Repubblica di Taiwan in superamento della cornice della Repubblica di Cina con cui Taipei è indipendente de facto). 

Avendo perso per la prima volta dal 2016 la maggioranza assoluta dei seggi allo Yuan legislativo, il parlamento unicamerale taiwanese, il Dpp dovrà fare i conti con l’opposizione. Ciò significa che far passare riforme o budget speciali sarà complicato e che Lai dovrà trovare l’appoggio di uno dei due partiti rivali, il Kuomintang (Kmt), il più dialogante con Pechino, oppure il Partito del popolo di Taiwan (Tpp) dell’ex sindaco di Taipei, Ko Wen-je, che si presenta come una «terza via» basata sul «pragmatismo» e «anti-ideologica»

Il Dpp ha paventato il rischio di uno stop alle spese di difesa, ricordando una situazione analoga vissuta tra il 2000 e il 2008 durante la presidenza di Chen Shui-bian. Eppure, viste le tensioni con Pechino, pare difficile che qualcuno nell’opposizione si intesti la responsabilità di bloccare lo sviluppo militare. 

Una materia su cui invece si palesano concrete possibilità di scontro e divergenze è quella dell’energia. D’altronde, già in campagna elettorale se n’è parlato molto ed è un tema che ha spesso suscitato l’interesse popolare più di quello delle relazioni intrastretto. Lai ha confermato tutti gli obiettivi fissati dal governo della presidente uscente Tsai Ing-wen, sua compagna di partito. L’intenzione dichiarata è quella di raggiungere un mix energetico composto per il cinquanta per cento da gas naturale, per il venti per cento da carbone e per il trenta per cento da fonti rinnovabili entro il 2030. 

La neutralità carbonica dovrebbe essere raggiunta entro il 2050, anno in cui il Dpp si immagina un mix energetico composto per il sessanta-settanta per cento da fonti rinnovabili e per il ventinove-trentanove per cento da energia a zero emissioni di anidride carbonica. In questo ambizioso programma di transizione energetica, non trova spazio il nucleare, che Lai vuole eliminare gradualmente entro il 2025. Al momento, a Taiwan ci sono quattro centrali nucleari. Per due di queste è iniziata la disattivazione già nel 2018 e nel 2021, una terza non è mai stata completata a causa di alcuni difetti scoperti durante i lavori. L’ultima, l’unica ancora del tutto operativa, dovrebbe entrare in disattivazione nel corso del 2024.

Il no del Dpp al nucleare è una posizione storica, rafforzatasi dopo il terremoto e maremoto del Tohoku del 2011, che portò al disastro di Fukushima. Vista la vicinanza col Giappone, l’opinione pubblica rimase molto colpita, anche per le similitudini geologiche tra Taiwan e l’arcipelago nipponico con una forte esposizione ai terremoti. Nel marzo 2014, circa centotrentamila taiwanesi marciarono per una protesta antinucleare in tutta Taiwan, in occasione del terzo anniversario del disastro di Fukushima. Un’istanza che è entrata tra gli ingredienti del Movimento dei Girasoli, etichetta assegnata alle grandi manifestazioni contro l’amministrazione di Ma Ying-jeou del Kmt che portò anche a un’occupazione di ventitré giorni del parlamento per bloccare un accordo che avrebbe liberalizzato lo scambio di servizi tra Taiwan e Cina continentale.

Il dossier nucleare, insieme al Movimento dei Girasoli, viene sostanzialmente cooptato dal Dpp per le elezioni (poi vinte) del 2016. E da allora il partito al potere ha consolidato il suo rifiuto del nucleare. Nonostante un referendum del 2018 abbia visto vincere un sì al mantenimento dell’atomo nel mix energetico taiwanese, l’amministrazione Tsai ha avviato la disattivazione di due delle tre centrali nucleari operative. Un ulteriore referendum del 2021, invece, ha confermato la decisione di non completare la costruzione dell’impianto di Lungmen. 

Il tutto è stato accompagnato da altre mosse innovative, anche e soprattutto per l’Asia orientale. Per controllare e ridurre le emissioni di gas serra, l’amministrazione per la protezione dell’ambiente di Taiwan ha creato delle linee guida nazionali per il cambiamento climatico, un piano d’azione per la riduzione dei gas serra e un programma d’azione per il controllo delle emissioni di gas serra. Nel 2018, Taiwan ha modificato la legge sul controllo dell’inquinamento atmosferico per accelerare la transizione energetica di Taiwan e limitare le emissioni dei veicoli e delle fabbriche. Il piano di innovazione industriale 5+2 di Taiwan prevede misure per creare una patria sostenibile attraverso la promozione dell’energia verde e di un’economia circolare per la gestione dei rifiuti.

In questo quadro che potrebbe apparire idilliaco, ma che in realtà ha ancora diversi punti controversi, c’è però un elemento che non può sfuggire: la quasi totale dipendenza di Taiwan dalle fonti energetiche esterne. Gli ultimi anni hanno ricordato a Taipei di essere vulnerabile non solo ai cambiamenti climatici (le temperature sull’isola sono sempre più alte), ma anche sul fronte dell’approvvigionamento energetico. Nel 2021, la crisi energetica che ha colpito la Cina continentale non ha risparmiato neppure Taiwan. Ma anche nel 2022 le cose non sono andate meglio. 

Tra il 1° luglio e il 29 agosto, l’isola è stata colpita da ventidue episodi rilevanti di blackout dopo quello gigantesco del precedente marzo che ha colpito 5 milioni di persone, quasi un quarto della popolazione. Non solo. Lo stesso agosto, Pechino ha messo in scena delle imponenti esercitazioni militari in risposta alla visita di Nancy Pelosi a Taipei. La simulazione di un blocco navale ha aumentato i timori sulla durata delle riserve energetiche. La convinzione diffusa tra gli analisti taiwanesi è che un ipotetico blocco reale con una durata superiore alle due settimane potrebbe già mettere in ginocchio l’approvvigionamento energetico. Un bel problema.

Senza contare che il modello high-tech dell’economia taiwanese fa sì che il suo comparto produttivo abbia un grande bisogno di elettricità, con una domanda che si prevede crescerà di almeno il 2,3 per cento all’anno fino al 2028, soprattutto a causa all’industria dei semiconduttori. Non è certo un caso che dopo la vittoria di Lai alle presidenziali del 13 gennaio dal mondo del business siano arrivate svariate richieste per rivedere le politiche energetiche del governo. L’influente Third Wednesday Club, un’associazione di industriali taiwanesi, ha domandato a Lai di aprire la porta al nucleare, indicando come esempio le politiche pro atomo del Giappone ma anche di tanti Paesi europei. Ulteriore pressione potrebbe arrivare dal parlamento, dove i due partiti di opposizione hanno una linea simile in materia di politiche energetiche. 

Il programma di Hou Yu-ih, il candidato sconfitto del Kmt, prevedeva il riavvio totale delle operazioni delle due centrali nucleari in disattivazione e l’istituzione di un comitato di revisione per determinare la possibilità di terminare la costruzione del quarto impianto. Il mix energetico immaginato per il 2050 dal Kmt sarebbe composto dal cinquantasette di energie rinnovabili, dal diciotto per cento di energia nucleare e dal venticinque per cento di energia a zero emissioni di carbonio. Il Kmt ha la maggioranza relativa in parlamento con cinquantadue seggi, uno in più del Dpp. Ma sul fronte energetico potrebbe trovare l’aiuto decisivo del Tpp, che con otto seggi sarà il vero ago della bilancia della legislatura che comincia il 1° febbraio. Il partito di Ko Wen-je propone le stesse identiche cose del Kmt sulle centrali nucleari già esistenti, con l’atomo che rappresenterebbe nella sua visione il dieci per cento del mix energetico entro il 2030. 

Lai insiste che ampliare la quota delle rinnovabili e attrarre investimenti stranieri basta per rafforzare la sicurezza energetica. In tal senso, il Dpp sta insistendo con sempre maggiore vigore sull’eolico. Pochi giorni dopo il voto, sono stati approvati nuovi progetti che prevedono l’installazione di settantuno turbine in un nuovo parco eolico offshore galleggiante al largo delle coste della contea di Hsinchu, vale a dire la capitale mondiale della fabbricazione di microchip, dove si trova la maggior parte degli impianti di Tsmc e degli altri giganti dei circuiti integrati. Alla fine del 2022, l’eolico offshore rappresentava meno dell’un per cento della capacità installata di Taiwan con duecentotrentasette megawatt, ma l’aumento dei prossimi anni sarà davvero forte, visto che ci sono quasi tre gigawatt di progetti eolici in costruzione e oltre ventidue gigawatt in fase di sviluppo. 

Per l’opposizione, non basta. Per raggiungere gli obiettivi di transizione energetica e mettere in sicurezza le riserve, serve (ri)aprire al nucleare. Visto il risultato delle elezioni del 13 gennaio, sarà uno dei temi centrali del dibattito politico dei prossimi anni. Con possibili colpi di sorpresa.

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