Il silenzio della solitudineL’amore finito è il vero protagonista dell’esordio letterario di Francesca Sabella

Il racconto “Tardi è tardi” (Il Vicolo-Divisione libri) racconta le vicende di Ernesto, un individuo depresso, eccentrico e misantropo, segnato dalla fine di un relazione importante e da un disamoramento professionale come avvocato

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Fa sempre piacere parlar bene di un’opera prima come questo racconto lungo di Francesca Sabella, “Tardi è tardi” (ed. Il Vicolo-Divisione libri, 106 pagine), giovane giornalista e indubbio talento che ci si augura possa sviluppare. Questo racconto lungo (o romanzo breve, è un’antica querelle) possiede una forza interna che scaturisce da un uso abile e accorto del flusso di coscienza: e siamo tentati dal dire che siamo dalle parti di Giuseppe Berto, si parva licet, ovviamente il Berto del “Male oscuro”, anche per le affinità dei protagonisti, ma anche de “La cosa buffa” per certi piccoli schizzi ironici. Ernesto, il protagonista, è uno di quei depressi bizzosi e misantropi che ciascuno di noi conosce nella vita reale, ridotto male soprattutto per il classico amore andato in frantumi – ma è chiaro che ci deve essere dell’altro, per esempio un disamoramento cosmico di tipo professionale, Ernesto è avvocato. 

L’amore, l’amore finito, ecco il vero protagonista del libro, un amore travolgente come quello degli adolescenti ma che se ti prende da adulto possono essere guai: «Se solo tu mi dicessi che vita desideri io la inventerei per te». Più amore di così. Lei, Camilla, se n’è andata e non ritornerà, e di questo lui è consapevole ma fino a un certo punto, perché la vita è anche piena di lieti fini, ma quando poi tutto precipita fino a fondere morte e vita solo allora il protagonista intuirà che è tardi, troppo tardi: che è la parola chiave del libro. 

Cosa resta di un uomo abbandonato se non il silenzio della solitudine e il rumore fastidioso, inutile del mondo, del vicino di casa, persino dei pochi amici così fuori posto (poverini, non è colpa loro) in quel loro continuo consolare così ingenuo? Eppure «si poteva provare a essere felici», rimugina Ernesto, ecco, almeno provare, ma la vita è corsa via più veloce del tentativo, ed è ancora in questo senso di arrivare tardi – lo si capirà alla fine – che sta il terribile “trucco” del mondo. 

E se abbiamo inteso il senso più profondo del racconto ecco che siamo stati trasportati in zona esistenzialismo, alla fine la domanda è perché tutto questo sia successo mentre poteva andare diversamente, ma sono quelle domande senza risposta che finiscono per annegare in un bicchiere di whisky, da soli, nel buio della vita. 

Ernesto non ce l’ha fatta, non poteva farcela, troppo tardi, e lei chissà dov’è, chissà se capirà se ha fatto tardi anche lei. E tutto questo grumo di infelicità e di esistenze sbagliate costituiscono un’ottima piattaforma morale e letteraria su cui Francesca Sabella potrà innalzare nuove storie e nuovi pensieri.

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