Ancora una volta Emmanuel Macron ha sorpreso un po’ tutti nominando primo ministro Gabriel Attal, trentaquattro anni, ministro dell’Istruzione uscente, il più giovane primo ministro della Quinta Repubblica, gay (è sposato con il capogruppo di Renew Europe Stephane Sejourné). In un momento non facile, ecco che il presidente francese ha giocato la carta del rinnovamento, un forte rinnovamento. Esce di scena la sbiadita Elisabeth Borne alla vigilia ormai di elezioni europee che per Ensemble, la formazione politica di Macron, si annunciano difficili a causa del convergente assalto a lui mosso da destra e da sinistra. La scelta di Attal è comunque un segno del vitalismo dell’inquilino dell’Eliseo che va verso la parte conclusiva del suo regno, nella quale deve porsi anche il problema della successione. Da questo punto di vista, Attal sembra avere qualità notevoli, unite al vantaggio di essere giovane, anche se è chiaro che è ancora prematuro vedere nel nuovo primo ministro il delfino designato alla ennesima corsa all’Eliseo.
In ogni caso, il macronismo non ha nessuna intenzione di fermarsi. Malgrado certi acciacchi in patria, e provvedimenti molto discussi come quello recente sull’immigrazione, il presidente francese resta centrale nel gioco europeo: e in questo senso non sono mai state smentite le voci che lo accreditano come l’architetto di una candidatura di Mario Draghi ai vertici dell’Unione, se non come presidente della Commissione almeno come presidente del Consiglio europeo, una poltrona che presto sarà vacante per le annunciate dimissioni di Charles Michel.
Una scommessa che nasce dunque nel cuore del riformismo europeo di governo, lungo l’asse Parigi-Berlino che in questa fase è in Europa quello che Joe Biden è negli Stati Uniti: l’unico argine a populisti e sovranisti di ogni risma. E non ci sono dubbi che la personalità di Mario Draghi potrebbe rappresentare la carta vincente nella partita europea tra democrazia e populismo. Ieri le voci su un impegno di Draghi, di cui aveva dato notizia Repubblica settimane fa, sono state rilanciate dall’autorevole Financial Times: impossibile che non ci sia nulla di vero.
L’ex presidente del Consiglio italiano peraltro sta intensificando il lavoro sul rapporto che gli è stato commissionato da Ursula von der Leyen sulla competitività in Europa: oggi a Milano incontra alcuni tra i principali manager europei, aderenti al consesso dell’European Roundtable for Industry. Tra questi i vertici di Vodafone, L’Oreal, Total, Mercedes e Bmw, ma anche alcuni dirigenti italiani tra cui spicca la figura di Claudio De Scalzi, amministratore delegato di Eni, mentre domani vedrà la presidente della Commissione Ue.
Il gruppo europeo macroniano è poi molto attivo. All’evento Global Europe Forum, organizzato ieri a Bruxelles, il sopra citato Sejourné è parso tornare alla carica per una ricomposizione dei riformisti-centristi in Italia, con un’esortazione ai «nostri membri italiani a offrire una strategia per un buon risultato elettorale». Parole che hanno suscitato un nuovo diverbio tra renziani e Carlo Calenda, con Sandro Gozi che raccoglieva subito l’appello del francese: «Non bisogna essere esperti di campagne elettorali per capire che la migliore strategia è una lista comune di Renew Italia che toglierebbe molti voti alla destra. Conosciamo bene le difficoltà, le tensioni e le cicatrici, ma le elezioni europee sono elezioni importantissime e non possono essere utilizzate come regolamento di conti, devono essere un’occasione per portare una forte voce liberale e riformatrice in Europa».
Carlo Calenda, prendendosela con Repubblica, ha negato che Macron o altri avessero rivolto un appello agli italiani per una lista unica. Il che è tecnicamente vero, non c’è stata una frase esplicita. Ma leggiamo ancora Sejourné: «Oggi Renew Europe ha eurodeputati in Azione e Italia Viva, ciò che gli chiedo è di tornare in Italia e convincere gli elettori a votare per una forza liberale, e che siano loro a trovare la giusta contingenza per garantire un buon risultato alle forze liberali Ue». Non è forse un appello a trovare il modo di superare tutti insieme lo sbarramento del quattro per cento?
Siamo al solito tira e molla destinato a durare mesi. Per il leader di Azione, la prospettiva di una lista unica con Renzi e Più Europa non esiste, «la decisione è già stata presa». Ma altre fonti, e non renziane, dicono che la partita è tutt’altro che chiusa.