Una delle aperture più attese di Roma, Mazzo, è arriva a poco meno di un mese dalla fine del 2023 generando – un po’ come succede pressoché per ogni metro quadro inaugurato a Milano – curiosità e grande compiacimento. Esatto, perché la coppia Francesca Barreca e Marco Baccanelli (aka The Fooders) da sempre amata oltre che professionalmente molto, ha sviluppato negli anni format di ristorazione contro-tendenza, succulenti e particolarmente rock ’n’ roll. In realtà quella di Mazzo è una ri-apertura perché la prima sede del laboratorio di cucina era nata nel 2006 a Roma est, nella periferica e ruvida Centocelle (che ringrazierà di questo arrivo). Gli inizi sono stati tosti, «Qui ce famo er mazzo», tanto che da questa espressione che fotografava la realtà è nato il fortunato nome.
Il primo spazio era piccolo, con un solo tavolo in condivisione da dieci coperti e un’organizzazione prenotazioni a turni, per far girare il più possibile. Una sorta di primo tentativo di educazione verso il rispetto di un timing compartimentato, con conseguente sgombero tavolo obbligato. Al posto del menu, una lavagna racconta le proposte del giorno, con fornitori di prima categoria e un pool di ricette che omaggia il cuore della tradizione romana e osa senza timore.
Dopo anni di successo – e una progressiva gentrificazione di Centocelle – la coppia ringrazia e decide di chiudere volutamente le porte per intraprendere un tour mondiale alla conquista delle cucine del globo. È il 2019 e ahimè questo progetto di vita resta bloccato causa pandemia. Nello stesso periodo viene inaugurato Legs (che ancora oggi occupa gli stessi ambienti in via delle Rose), un fast food dedicato a birra e pollo fritto. Ancora più che un format di qualità, Legs vuole diventare un punto di incontro, un’idea, un modo di comunicare, un nuovo modo di vivere spazi di somministrazione, con colori e grafiche pop, arredi spartani ma cibo da paura.
Da quest’immagine street dei The Fooders arriviamo a oggi, con Mazzo 2.0 in San Giovanni, in via degli Equi, con uno scarto non solo temporale di quasi dieci anni ma un vero e proprio level up a 360 gradi. L’ingresso è incastonato in una porta rientrante con infissi rossi e una vecchia scritta incisa nel muro: Panificio. In passato, infatti, lo spazio ospitava un alimentari di quartiere che sfornava anche pane e piccoli lievitati dolci e salati (il vecchio forno è ancora visibile e ospita la selezione di bottiglie che vanno a comporre la carta del ristorante) e negli ultimi anni c’era una chiesa evangelica, la Cappella dei Miracoli.
Da un ingresso che funge come vineria e luogo di chiacchiere e intrattenimento, con piastrelle colorate e sgabelli pastello, si arriva nella sala principale dove il pavimento diventa legno e un’ampia parete di vinili sembra accoglierci in un salotto di casa. L’atmosfera che si respira è dichiaratamente un po’ hipster, gli arredi sono minimal e sofisticati in stile nordico (dove il pensiero incontra gusto, praticità ed estetica), la musica è alta ma estremamente caratterizzante. A suonare durante la nostra cena c’è Rhizome Radio, con una selezione di tracce direttamente da vinile e che accompagnerà ogni martedì di Mazzo (e non è difficile pensare che la ricerca musicale prosegua, in modo diversamente creativo anche per gli altri giorni della settimana).
La cucina è a vista attraverso un grande oblò, che funge da elemento architettonico, pass e affaccio verso l’unico tavolo grande e sharing della sala. Fisicamente, è vicina al cliente ma con quel giusto distacco che serve a darsi un tono (forse per la prima volta, anche se sottovoce) e creare un contesto quasi sospeso tra il grido del quinto quarto e il fine casual dining. Di Mazzo non possiamo dire che sia bistrot o ristorante vero e proprio, enoteca o trattoria (manco trattoria moderna suvvia) perché di fatto i piatti sono pochi (se sei di buona forchetta in una cena ti fai più di mezzo menu in due), intelligenti senza essere furbi, presentati senza troppi decori ma esaltando gusti e materie prime.
Forse c’è meno sfrontatezza e sfacciataggine del passato, ma c’è di contro una puntualità di acidità, di amaricanti e grassi che fa bene al cuore e merita un sorriso (quel compiacimento di cui si parlava in apertura). Olio, burro e grasso di carne ci sono senza sconti, ma in modo sapiente e dosato nella buona e preziosa riuscita del piatto. La trippa fritta alla romana è meravigliosa, la battuta di Fassona con burro al pino mugo si scioglie in bocca ed è diversa nella sua tradizione. Bello sentito il crostone di concia di broccoletti e caciotta fresca di capra. Le ruote pazze strappano un sorriso trasversalmente a seconda delle età e c’è pure chi, sardo di sangue, ti racconta con passione il sugo alla Campidanese che le accompagna. Sicuramente non un porto sicuro per i vegetariani, ma un luogo cult di espressione di quello che sempre di più ci auspichiamo per la ristorazione contemporanea: grandissima sostanza, profondità di gusto e coerenza.
MAZZO
Via degli Equi, 62 – Roma