Partiamo dalle notizie positive. Nel suo ultimo report, Newzoo ha stimato che il mercato dei videogiochi genererà 189,3 miliardi di dollari nel corso del 2024, e che sarà cresciuto dell’1,3 per cento annuo (tasso composto) al termine del periodo dal 2021 al 2026. A un’analisi superficiale, i dati sembrerebbero in contraddizione con le notizie negative, delle quali ultimamente si parla più spesso. L’ultima bomba è stata sganciata da Microsoft giovedì. L’azienda ha confermato al magazine tech The Verge, tramite il CEO della divisione gaming, Phil Spencer, il taglio di millenovecento impiegati, soprattutto in Activision Blizzard. Lo studio è stato da poco acquisito dalla compagnia di Windows, ma i licenziamenti ci sarebbero stati anche in vari team Xbox, tra cui quello dedicato ai giochi in edizione fisica e in Zenimax, per un totale del nove per cento dei ventiduemila impiegati di Microsoft Gaming.
Una serie di licenziamenti condotta in maniera così maldestra che gli sviluppatori starebbero chiedendo al noto giornalista videoludico Jason Schreier, sempre molto informato, se sono tra chi deve liberare la scrivania. Game Industry Layoffs che viene costantemente aggiornato con notizie di questo tipo, ha stimato in diecimila e cinquecento i licenziamenti nel 2023. La dinamica è eccezionale, ma sta accelerando: in soli venticinque giorni, il 2024 ha superato la metà del totale dei licenziamenti del 2023 (5,959 secondo un meticoloso articolo di Kotaku).
Come stanno insieme i tagli e le proiezioni di crescita tutto sommato incoraggianti? Probabilmente c’entra una fase di correzione successiva alla sbornia del Covid, quando i lockdown avevano fatto aumentare enormemente il consumo di video games e di conseguenza gli investimenti. Ma altre questioni potrebbero essere sistemiche, cioè dipendere solo in parte da una congiuntura eccezionale e avere a che fare con il modo in cui i videogiochi vengono fatti.
In molti si sono posti questa domanda: escono troppi videogiochi? Per Benoit Clerc, capo della distribuzione di Nacon, la risposta è sì. Parlando con GameIndustry.biz, Clerc ha citato i numeri del negozio digitale Steam, dove «anche cinquanta o sessanta giochi [sono] rilasciati in un solo giorno». La strategia di Nacon per il lancio di un titolo consiste nello sbarrare alcune caselle non esattamente semplici: nicchia, qualità e anche una licenza che faccia forti le spalle. Insomma, se il tuo prodotto non può vantare elevati valori produttivi, a volte assimilabili a quelli di un film blockbuster, e risorse proporzionali da investire in pubblicità, allora tanto vale servire videogiocatori i cui gusti non vengono accontentati da esperienze più trasversali e sotto i riflettori.
Questo comporta di fare i conti con utenti dall’elevata conoscenza del medium: le nicchie non sono abitate da turisti, ma da appassionati esigenti. Un videogioco come RoboCop: Rogue City, distribuito da Nacon, rispetta tutti i requisiti: diverse buone idee, alcune meccaniche retrò e poi, beh, c’è RoboCop. I dati ufficiali di vendita non li conosciamo, ma a giudicare dai preordini, dal numero di recensioni degli utenti su Steam e dalla copertura mediatica (i giudizi della critica raccolti sugli aggregatori Metacritic e OpenCritic possono essere indicativi), lo sparatutto con il poliziotto d’acciaio ha venduto bene, ma che fatica!
Se non di meno, i videogiochi potrebbero essere almeno più brevi. Lo disse Shawn Layden, ex presidente di Sony Interactive Entertainment Worldwide Studios a VentureBeat. Layden menzionava alcune ricerche che avrebbero dimostrato come i costi di sviluppo raddoppierebbero a ogni nuova generazione di console. Si tratta di investimenti che non possono generare profitto prima dell’uscita, inoltre i video games ambiziosi sono spesso scommesse che non possono essere perse e che, se sono perdute, determinano a volte il fallimento di uno studio o di un publisher. «Il problema di quel modello è che semplicemente non è sostenibile», ha spiegato Layden. L’intervista è del 2021: quella dell’ex presidente di Sony (ora strategic advisor di Tencent) è stata una profezia.
In un articolo dello stesso anno, comparso sulla rivista indipendente Ludica, si legge della filosofia che ha ispirato lo sviluppo del videogioco Alba – A Wildlife Adventure. «La compattezza del mondo di Alba è anche la testimonianza di un game design che rispetta il tempo di chi gioca», commenta l’autore, che riporta le parole del creative director David Fernández Huerta: «Amo i giochi open world, ma avendo dei bambini a casa e tutti gli impegni di una vita adulta, ci metto più di sei mesi a finirne uno». Spesso si motivano alcune disfunzioni della fase produttiva con le esigenze dei videogiocatori (reali o presunte), ma è chiaro che una parte di appassionati si sente sopraffatta dalla durata delle uscite considerate imperdibili. Sostenibilità potrebbe significare anche dar loro un po’ di sollievo: ci guadagnerebbero tutti, sia chi compra, sia chi crea i videogiochi.