Tratto dall’Accademia della Crusca
Il verbo prendere, tipicamente usato come bivalente transitivo (qualcuno prende qualcosa, nel significato di ‘afferra’), presenta anche una costruzione bivalente intransitiva (qualcosa prende a qualcuno, nel significato di ‘accade improvvisamente’). La seconda costruzione si incontra in modi dire come “Che ti prende?” oppure “Mi è preso un colpo”, “Gli è preso un infarto”, “Che ti prenda un accidente!”. In questo caso, l’ausiliare è di regola essere, ma si può trovare anche avere.
Nel caso di “Che ti è/ha preso?” la variazione di ausiliare è collegata al fatto che – dato che i pronomi personali atoni (quelli che tradizionalmente chiamiamo particelle pronominali) di prima e seconda persona singolare e plurale valgono sia come oggetto diretto sia come oggetto indiretto – il verbo può essere interpretato sia come transitivo (“Che cosa ha preso te?”) sia come intransitivo (“Che cosa è preso/successo a te?”). L’alternanza di essere e avere si trova tuttavia anche quando il verbo è inequivocabilmente intransitivo: Gli è/ha preso un infarto. In rete sono anzi più numerosi gli esempi con l’ausiliare avere rispetto a quelli con l’ausiliare essere (“mi ha preso un colpo” ha quasi il doppio delle attestazioni di “mi è preso un colpo”).
L’espressione lo ha preso un colpo, con il verbo transitivo, è sentita oggi come decisamente inaccettabile, a meno che non sia riconoscibile come arcaismo: si trova infatti attestata soprattutto nell’Ottocento; nel dizionario Tommaseo-Bellini è registrata e spiegata in questi termini: “Si dice anche che La febbre, o sim., ha preso uno, ad accennare, che ad uno è cominciata o sopravvenuta la febbre, o sim.”. Oggi un’espressione come la febbre ha preso uno è accettabile solo nel senso di ‘l’ha portato via’, ‘ne ha provocato la morte’ e non in quello di ‘venire, sopraggiungere’, veicolato esclusivamente dalla costruzione intransitiva con soggetto posposto (gli ha preso la febbre).