A guardare freddamente la scena, sembra che per gli oppositori relazionarsi con Giorgia Meloni sia una cosa non facile. Ieri c’è stato un salto di qualità. Vincenzo De Luca ha messo in campo il suo fisico in un corpo a corpo tra lo Stato (cioè lui) e lo Stato (i poliziotti), un inedito assoluto che si aggiunge a vari record di questa fase politica gettando ufficialmente nell’arena politica l’arma sempre discutibile dell’insulto, diretto, secco, sintetico – «stronza» – sibilato con rabbia all’indirizzo della presidente del Consiglio, che a dire la verità se l’è cercata.
Certo, un governatore – e vale anche per ’O governatore – non dice «stronza» alla presidente del Consiglio (ma a nessuno!) anche se ha l’attenuante di aver perso la trebisonda dopo che la presidente gli aveva graziosamente detto di andare a lavorare invece di protestare: e certo nessun premier si è mai azzardato a trattare così una civile manifestazione di sindaci e presidenti di regione, tra l’altro ostacolati dalla polizia nemmeno fossero un collettivo politico di estrema sinistra.
«Cos’ ’e pazz’», ha commentato il presidente della Campania, salito sulla immaginaria barricata eretta contro l’autonomia differenziata: forse è così che si fanno i sit-in, Elly, un po’ più di cazzimma. Può piacere o non piacere ma il deluchismo è una nuova modalità di lotta nell’era nero-verde, sdoganata ieri in piazza a mani nude e fascia tricolore attorno al corpo. È l’esasperazione istituzionale che dovrebbe essere un ossimoro e invece diventa pratica politica reale, e ’O governatore ne è il capo, si scomoderà Masaniello ma questa è un’altra cosa, come detto: è lo Stato contro lo Stato, non è il popolino contro il Potere, il che è pure un filo inquietante.
Allora, chiarito che «stronza» non si dice ma al massimo lo si può legittimamente pensare, la novità è che De Luca è diventato un altro anti-Meloni sceso in campo. È uno che non si ferma. «Ci dovete ammazzare»: così ieri ai celerini stupefatti.
In un dibattito televisivo, di Giorgia farebbe polpette, altroché, magari a scapito della qualità del dibattito – finirebbe sicuramente in una gazzarra ma lui è un peso massimo mentre lei è una piuma – e qui bisogna che Meloni, e per quanto le riguarda anche Schlein, stia accorta, come si dice a Napoli: De Luca mena e menerà.
Vedremo se funziona, e non è detto, perché una cosa è certa: con Meloni è difficile azzeccarla giusta, se attacchi poco sbagli e se attacchi troppo sbagli pure. Sembra che qualunque cosa uno faccia gli torni indietro come un boomerang. La gente non è mai contenta e men che meno gli osservatori, per cui se Matteo Renzi vota con lei è di destra (Massimo Giannini dixit), se lo fa Carlo Calenda è un politico pragmatico («i programmi prima di tutto»), se Giuseppe Conte lottizza sulla Rai nessuno dice niente, se Elly Schlein la attacca frontalmente è una brava compagna e se ci fa un accordo sulla Palestina è una statista. Magari di De Luca si dirà che è un arruffapopolo in cerca di un terzo mandato e che questo è tutto ’nu teatro. Che confusione.
Intanto Meloni sbeffeggia tutti e addormenta un Paese che si sta abituando a tutto e che si beve i notiziari del Tg1 (il problema della Rai è la scarsa qualità, non le nomine, anche se tra le due cose c’è un evidente nesso) e sembra avere pure fortuna e abilità. Finora le è andata bene, ma anche lei deve ricordarsi che da statista a stronza è un attimo.